di Sara Zanon

La leadership è una proprietà dell’azione politica che fa riferimento alla capacità di comando di alcuni uomini su altri. Tale dote in una democrazia è sempre basata sulla persuasione e sul convincimento che i leader riescono ad esercitare sui seguaci, sui followers.

La credibilità, per la leadership, è tutto. Ma esistono ancora leader credibili? Cosa succede quando la capacità di guida di un politico è messa in discussione? Se la leadership è un bene sociale che nasce all’interno di un tessuto esplicito di rapporti e usufruisce di tutte le varianti possibili, allora, oggi, il dibattito ha un ingrediente inedito: la contestazioni dei propri leader da parte degli stessi militanti di partito.

Ha descritto bene il fenomeno Fabio Martini sulla Stampa del 13 settembre: “ il capo è mio e me lo contesto io”. Il modo di stare e fare società cambia velocemente, in un modo inimmaginabile fino a poco tempo fa. Il mutamento coinvolge milioni di persone, ed è il frutto di inedite connessioni. Non stupisce, dunque, quel dissenso maturato sulla pubblica piazza, e proseguito sui social network, di nomi illustri della politica da parte dei militanti della stessa area.

Sono stati contestati, nel corso delle ultime settimane, non soltanto leader ormai storici come Massimo D’Alema o Silvio Berlusconi, ma anche nomi finora immuni da tali manifestazioni da parte della base, come Gianfranco Fini, Umberto Bossi, Nichi Vendola, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi. Persino il sindaco di Firenze Matteo Renzi, il rottamatore per eccellenza, è diventato oggetto della sua stessa battaglia di rinnovamento e proprio nella sua città.

Che cosa sta succedendo ai nostri leader politici? Come mai i seguaci non si accontentano più di ascoltare le loro parole? Che sia finito il tempo delle vecchie tribune politiche polverose e paludate e ci sia, invece, l’esigenza di una pratica politica che si generi nelle interazioni tra le persone?

Per Alessandro Campi, siamo ad un passaggio di fase, ad un tornante a suo modo «storico»: «Si stanno sommando un fenomeno più epidermico, il malessere in una fase di stallo politico e di crisi economica e un fenomeno più profondo, di lunga durata. Sta cioè cominciando ad entrare in crisi il modello della leadership monocratica, inamovibile e carismatica creata da Berlusconi ma mutuata da quasi tutti gli altri. Cittadini ed elettori, che in quello schema erano relegati in un ruolo subordinato e di ascolto, stanno tornando a voler essere protagonisti, dicendo la loro».

Dove sono finiti gli eserciti di gregari pronti a mettersi a disposizione? Che cosa dicono, ora, “cittadini ed elettori”? Contro chi se la prendono? Bossi e Fini sembrano essere i bersagli ideali. Dopo Ferragosto, accerchiato dalle contestazioni da parte dell’(ex) popolo leghista bellunese, Bossi si è mimetizzato, come una volpe nel deserto, tra baite e uscite laterali e alla fine ha dovuto lasciare (di notte) l’hotel. E a Fini, due giorni fa, è capitata qualcosa che in venticinque anni non gli era mai successo, ha ricevuto una mini-contestazione proprio nella «sua» Mirabello, il paese emiliano dove era nata la mamma e dove un quarto di secolo fa Giorgio Almirante lo aveva scelto come erede naturale.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Una settimana fa, Pier Luigi Bersani al corteo della Cgil ha dovuto ascoltare cori come: «Siete tutti uguali…». Persino a figure carismatiche come Nichi Vendola e Rosy Bindi sono capitati episodi di malcontento: al Governatore pugliese davanti a Mirafiori; alla presidente del Pd, il 9 luglio a Siena, quando davanti all’assemblea delle donne «Se non ora quando?», è stata fischiata non appena ha detto: «Chiederò al mio partito di ascoltare le vostre ragioni…». Di quali ragioni parla? Perché questi fischi?

Qualcosa sta accadendo. Forse non siamo più solo soggetti passivi che vogliono essere ascoltati dal politico di turno. Jim Surowiecki, giornalista del “New Yorker”, nel suo La saggezza della folla sostiene che in futuro sarà la saggezza delle moltitudini a fare la differenza, che l’unione consapevole di più intelligenze, l’integrazioni di molteplici punti di vista (ragioni), l’incrocio e la mediazione di ogni singola idea creerà più valore di quanto possa crearne il genio isolato di una mente illuminata. Tante intelligenze semplici, se messe in comune, produrranno più valore in assoluto e potranno diventare il motore dello sviluppo di una società, dell’economia e della politica. Un Noi fatto da tanti Io. Questo si appresta a divenire la politica del futuro.