di Alessandro Campi
La fiducia c’è. Berlusconi e il suo governo l’hanno ottenuta per la cinquantatreesima volta in questa legislatura. I sostenitori ad oltranza del formalismo parlamentare, che in tante occasioni hanno accusato il Cavaliere di forzare le regole e di muoversi secondo una costituzione materiale che in realtà esiste solo nella sua testa, dovrebbero a questo punto mettersi d’accordo con se stessi. Non si può brandire ad ogni passo la Costituzione, che spiega per filo e per segno come funziona un regime parlamentare, e poi non tenere conto della sua lettera. Un governo che abbia anche un solo voto di maggioranza è pienamente legittimato a restare al suo posto: pretendere che si dimetta solo per compiacere l’opposizione è davvero troppo. Così come è inutile, alla luce di quest’ultimo risultato, continuare ad immaginare un intervento del Presidente della Repubblica che al dunque sarebbe soltanto una palese violazione della nostra legge fondamentale.
Se il governo ha i numeri dalla sua, risicati quanto si vuole ma inequivocabili, deve ora dimostrare di avere idee e forza politica per andare avanti e per affrontare con risolutezza i problemi dell’Italia. Che è esattamente quel che ha chiesto Napolitano a Berlusconi nei giorni scorsi: non accontentarsi di esibire una maggioranza parlamentare, ma provare a governare superando i contrasti interni a quest’ultima, concentrandosi sulle questioni dell’economia e dello sviluppo (invece di pensare sempre alle sue vicende giudiziarie) e smettendola di rinviare le soluzioni sempre al giorno dopo.
Con il voto di ieri l’opposizione ha esperito tutte le sue carte. E verrebbe da chiedersi se quelle giocate – l’Aventino immaginario che ha costretto l’altro giorno Berlusconi a parlare ad un’aula vuota e il tentativo di far mancare il numero legale al momento di votare la fiducia – siano state le migliori e le più opportune. A questo punto, le mosse che decideranno il futuro di questa legislatura spettano tutte al governo. E nulla avranno a che vedere con le tattiche parlamentari e gli artifici contabili, che al dunque si sono rivelati fallimentari per chi su di essi ha investito.
Si tratta di capire – dopo aver incassato l’ennesima fiducia – quale strategia politica Berlusconi e la sua maggioranza intendano perseguire nelle prossime settimane. Le strade sono, a ben vedere, due soltanto. La prima, quella che più converrebbe al Paese, passa per l’adozione rapida di provvedimenti in grado di rilanciare l’economia e tranquillizzare i mercati. Molti ci sperano, ma pochi ci scommettono. Anche ammesso che Berlusconi si decida a fare lo statista – come gli chiedono i suoi fedelissimi, che sperano in un ritorno allo “spirito delle origini” – c’è infatti da considerare la condizione di oggettivo logoramento in cui versa da mesi la sua maggioranza. I malumori che ieri sono stati sopiti – con la promessa che nessun parlamentare verrà abbandonato al suo destino – potrebbero riesplodere in qualunque momento, non appena si capirà che non tutte le promesse fatte potranno essere onorate. L’alleato leghista, pressato dalla sua base elettorale, da settimane da segnali di impazienza e potrebbe chiamarsi fuori all’improvviso, specie se dovesse tardare l’iter del federalismo. Non sarà facile, infine, varare un piano per la crescita in contrasto radicale con i desiderata e le indicazioni del ministro dell’economia.
Lo stesso Presidente del Consiglio, la cui immagine è stata irrimediabilmente rovinata dagli scandali e che sembra aver perso in determinazione e lucidità politica, potrebbe non reggere il peso di mediazioni estenuanti o, peggio, l’adozione di misure che intimamente non condivide e che rischiano di accrescerne l’impopolarità. Senza contare il malumore e la protesta che stanno montando nel Paese e che potrebbero convincere più d’uno tra i suoi uomini che è giunto il momento di pensare ad altre soluzioni (ma quali possano essere, come si è visto in questi giorni, nessuno sa dirlo con esattezza visti gli equilibri parlamentari).
Quest’insieme di difficoltà, nel momento in cui fossero giudicate insormontabili, conduce così dritto al secondo scenario: una crisi di governo finalizzata – Capo dello Stato e numeri in Parlamento permettendo – alle elezioni anticipate, che secondo molti sono il vero obiettivo che il Cavaliere ha in testa. Con buona pace dei peones che gli hanno rinnovato la fiducia puntando sulla conclusione naturale della legislatura, Berlusconi potrebbe avere tutto l’interesse a tentare anzitempo la carta del voto: sfruttando le opportunità offerte dall’attuale legge elettorale, vale a dire scegliendosi i futuri parlamentari uno per uno, facendo conto su un’opposizione che avrebbe fatica ad organizzarsi nel giro di pochi mesi e magari mettendo in piedi un nuovo partito tutto a sua immagine e somiglianza, più volte ipotizzato in queste settimane. L’ha già fatto una volta, con risultati strabilianti, e certo non gli mancano i mezzi e il coraggio per farlo un’altra volta.
Arrivare sino al 2013, blindando la sua maggioranza ad ogni occasione, potrebbe in effetti risultare un calvario, al termine del quale la sconfitta alle urne sarebbe certa. Meglio dunque giocare d’anticipo, rimettendo la decisione sul nuovo governo nelle mani del popolo sovrano, secondo la sua storica dottrina, ribadita puntigliosamente nel suo ultimo intervento alla Camera. Berlusconi ha detto più volte che nel 2013 non sarà lui il candidato alla carica di Presidente del Consiglio per conto del centrodestra. Ma nel 2012? In ogni caso, anche ammesso che si decida a passare per davvero la mano anche la prossima primavera, votando anzitempo potrebbe ragionevolmente salvare parte consistente del suo patrimonio elettorale e rendersi decisivo, anche in caso di sconfitta, per ogni futura partita politica. Se poi dovesse persino vincere, come dargli torto? E come impedirgli – avendo una maggioranza parlamentare rafforzata dal premio di maggioranza – di tornare a sognare la Presidenza della Repubblica? Ciò che oggi appare fantascienza al cittadino normale, si ricordi, non lo è per Berlusconi.
Certo, potrebbe darsi che nel frattempo l’Italia sia andata a gambe per aria, ma è un dettaglio che un uomo dimostratosi tanto bravo nel rivoltare la frittata, nella propaganda e nel dare sempre la colpa agli altri potrebbe persino volgere a suo favore.