di Michele Marchi*

Ora che il sipario è calato sulle primarie organizzate dal Partito socialista è tempo di bilanci, ma soprattutto pare giunto il momento di riflettere su quali ricadute potrà avere la lunga corsa all’interno del Ps sull’esito finale della presidenziale 2012. Con la netta vittoria di François Hollande nel ballottaggio con Martine Aubry, infatti, il quadro dei pretendenti all’Eliseo è praticamente completo. Salvo candidature minori o dell’ultima ora, i sei protagonisti sono oramai in campo. Marine Le Pen, Nicolas Sarkozy (anche se formalmente non ha dichiarato la sua ricandidatura), François Bayrou, François Hollande, Eva Joly e Jean-Luc Mélenchon rappresentano lo spettro politico transalpino, dall’estrema destra all’estrema sinistra. In realtà la candidata ecologista (Eva Joly) e quello del moribondo movimento comunista (Mélenchon) potranno risultare determinanti solo al secondo turno, qualora dovessero aver raccolto un discreto numero di voti destinati poi a confluire sul candidato socialista. Ben diversa appare l’importanza del centrista Bayrou (anche se i sondaggi in questa fase non lo premiano), ma soprattutto di Marine Le Pen. In base agli ultimi sondaggi infatti il suo Front National rinnovato potrebbe addirittura contendere l’accesso al ballottaggio alla “destra repubblicana” di Sarkozy. La crisi dell’attuale inquilino dell’Eliseo e quella forse ancor più preoccupante del suo partito, l’Ump, non garantiscono al momento che il ballottaggio presidenziale sia tra Sarkozy e Hollande. Ma non  è dello “spettro di un nuovo 21 aprile” che si deve parlare in questa fase. I sondaggi sono ancora troppo oscillanti per poter arrivare a pronosticare il rischio che, sulla falsariga di ciò che accadde al socialista Jospin nel 2002, questa volta sia il candidato post-gollista a vedersi escluso dal ballottaggio presidenziale. Il momento è quello di riflettere sul significato delle primarie socialiste, sul suo vincitore, sulle difficoltà che lo attendono all’orizzonte e sulle reali possibilità che ha François Hollande di essere il secondo socialista nella storia della Quinta Repubblica ad entrare all’Eliseo.

Per descrivere Hollande basterebbe la descrizione di uno dei suoi più stretti amici dei tempi dell’Ecole Nationale d’Administration: “è sempre al centro, ma non è mai il capo”. Ma questa definizione è valida anche per l’attuale Hollande o deve essere seppellita insieme all’Hollande che, nel novembre del 2008, ha abbandonato la guida del Ps per cominciare la sua lenta corsa verso la candidatura all’Eliseo?

È importante riflettere su questo punto, la prima vera questione chiave in questa fase iniziale della campagna per le presidenziali 2012. Esiste un prima e un dopo 2008.

Hollande entra nel PS nel 1979 e da quel momento in poi la sua è una carriera tutta interna al partito. Non mancano gli incarichi “esecutivi”, come consigliere politico di Mitterrand per le questioni economiche, o collaboratore di Max Gallo e Roland Dumas all’epoca del governo Mauroy (1981-1984). Non mancano le vittorie alle elezioni locali, fino a diventare il vero e proprio dominatore della Corrèze, Francia profonda e di campagna, per un lungo periodo feudo elettorale di Jacques Chirac. Ma l’apice della carriera politica di Hollande è senza dubbio costituito dagli undici anni di guida del Partito socialista, dal 1997 al 2008. È qui che Hollande si trova al “centro”, ma per forza di cose deve comporre, fare la sintesi, non presentarsi come il capo. Sono anni di governo del Paese, dal 1997 al 2002 infatti Jospin è a Matignon e la Francia vive la sua più lunga (e traumatica) coabitazione (all’Eliseo siede Chirac) e dunque sono anni di vittorie e soddisfazioni, è il tempo della “gauche plurielle” (socialista, ecologista e alter mondista). Sono però anche anni di clamorose sconfitte: il già citato 2002 (con il partito traumatizzato), ma anche l’altrettanto lacerante referendum sul Trattato costituzionale europeo del 29 maggio 2005. Allora Hollande schiera il partito nettamente per il “sì”, ma una componente minoritaria interna, guidata da Laurent Fabius, spinge per il “no”. La bocciatura è un’altra lama che affonda nel precario equilibrio interno al partito, ma in particolare soffoca qualsiasi ipotesi di candidatura presidenziale per Hollande. E infatti alle presidenziali del 2007 la candidatura della ex compagna Ségolène Royal sarà una candidatura da outsider, contro gli “elefanti” del partito e, nemmeno troppo implicitamente, contro tutto l’apparato socialista, Hollande compreso. Poco più di un anno dopo l’effimera parentesi Royal, il partito torna a dividersi al congresso di Reims. L’assise si conclude senza l’elezione di un segretario. A contendersi la poltrona di numero uno del partito sono due donne, Ségolène Royal e Martine Aubry, figlia di Jacques Delors, ma nota ai più come “Madame 35 ore”. La spunta Aubry per un pugno di voti, ma quello che in questa sede interessa è la scelta di Hollande: defilarsi e cominciare la sua marcia di avvicinamento alla corsa presidenziale. Da questo momento Hollande riparte dal suo feudo locale della Corrèze (pochi mesi prima di Reims, nel marzo 2008, ne è divenuto presidente del Conseil général), comincia una metamorfosi anche fisica (perde peso, cambia look) e personale (lascia la compagna Royal) tutta finalizzata a vestire i panni del potenziale “monarca repubblicano”. Egli sembra fin da subito a suo agio nell’incarnare questa idea del candidato della prossimità, in grado contemporaneamente di ridare solennità e sacralità ad un ruolo, quello della presidenza nella Quinta Repubblica, che Sarkozy, almeno nella sua prima fase, ha cercato eccessivamente di “banalizzare”. Con il passare delle settimane anche all’Eliseo hanno cominciato a rendersi conto di quanto temibile possa rivelarsi la candidatura Hollande. L’affaire Strauss-Kahn ha fatto il resto. Nella camera del Sofitel di Manhattan non si sono soltanto infrante le possibilità di elezione all’Eliseo dell’allora direttore del Fondo monetario, ma si è tramutata in realtà l’ambizione di François Hollande.

Dal novembre 2008 sino al 17 ottobre 2011 Hollande è riuscito a imporre la sua idea di “candidato normale”, perlomeno tra gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti socialisti. I quasi tre milioni di elettori del secondo turno ne sono una conferma. Ma ora?

Ecco il secondo passaggio chiave. Martine Aubry, sconfitta al ballottaggio, è tornata immediatamente a guidare il partito. E proprio nel partito si giocherà una partita chiave nei prossimi mesi. Per la prima volta dopo il 1981, Hollande riuscirà ad avere dietro di sé il partito nella corsa all’Eliseo? Riuscirà cioè a fare di esso lo strumento di conquista della presidenza? La domanda non è per nulla retorica e cela questioni molto concrete. La storia dell’ultimo trentennio è emblematica. Dal 1988 ad oggi ogni candidato Ps ha dovuto, prima che contro gli altri partiti e gli altri candidati, combattere una difficile guerra di logoramento all’interno del proprio partito. O perlomeno questo partito non si è sufficientemente mobilitato a sostegno del proprio candidato. È avvenuto clamorosamente nel 2007 rispetto all’outsider Royal. Ma anche nel 1995, dopo la rinuncia a correre per l’Eliseo di Delors, Jospin si è visto abbandonato dall’allora segretario Emmanuelli. La situazione era stata paradossale nel 1988, quando l’allora segretario Jospin si prese una settimana di ferie in piena campagna presidenziale dal momento che tutto era già deciso all’Eliseo. La famosa “Lettre à tous les Français” di Mitterrand, passaggio chiave per la sua rielezione, non conteneva praticamente nulla del programma socialista dell’epoca, elaborato da un giovane Dominique Strauss-Kahn. Il punto è proprio questo ed è un vizio di origine del Partito socialista nel suo rapporto con la Quinta Repubblica e con i suoi meccanismi. Una volta designato, il candidato socialista solitamente si affranca dal progetto politico originario, perché necessariamente deve rivolgersi a tutto il Paese e non soltanto ad una parte di esso. Questo passaggio, spesso traumatico, non riesce ad essere metabolizzato dal partito e dai suoi tanti leader interni. Hollande riuscirà a vincere questa scommessa?

Strettamente legato al tema del controllo e “utilizzo” del partito vi è poi il terzo ed ultimo nodo da sciogliere, all’indomani delle primarie. Quello della legittimità del candidato Hollande. Se si affronta il tema in un’ottica weberiana si può, senza dubbio, affermare che la vittoria alle primarie è sinonimo di legittimità politica e rafforza la legittimità tradizionale, che gli deriva da undici anni di guida del partito. Da un punto di vista razionale pochi mettono in dubbio la sua competenza, anche se in parecchi sottolineano l’assenza di esperienza ministeriale e la debolezza sul fronte delle relazioni internazionali (piuttosto determinante per il presidente della Quinta Repubblica). Ma sarà sulla legittimità carismatica che, probabilmente, si giocherà la partita decisiva. Qui entrano in gioco perlomeno due riflessioni: una contingente e una legata all’evoluzione storico-politica dell’ultimo cinquantennio di vita politica francese.

Fattore congiunturale: Hollande si è presentato con lo slogan del “candidato normale” e di conseguenza del “presidente normale”. E questo non tanto per riproporre l’idea di “forza tranquilla” di Mitterrand nel 1988, che allora cercava la riconferma e voleva assecondare il desiderio francese di uscire dalla prima e traumatica coabitazione. Quanto piuttosto nel doppio tentativo di contrapporsi sia al “presidente della rottura e del volontarismo”, l’iper-attivo Sarkozy, che è però parso dimenticare la dimensione di rassembleur che il monarca repubblicano deve avere, sia nel tentativo di rassicurare un Paese in profonda ansia per un futuro dominato da incertezza e timore. Da questo punto di vista l’idea di Hollande potrebbe funzionare.

Fattore storico-politico: il presidente della Quinta Repubblica può essere un Presidente “normale”? Se ci si guarda indietro la risposta sembra proprio essere no. Non lo era naturalmente de Gaulle, uomo “provvidenziale” a tutti gli effetti, lo è forse stato Pompidou, ma il giudizio deve essere in parte sfumato, visto che ha incarnato il post de Gaulle e il suo settennato è stato drammaticamente segnato dalla malattia che lo ha condotto alla morte prematura. Non è stato certamente un candidato “normale” Valery Giscard d’Estaing, per la sua giovane età (48 anni, ad oggi il più giovane Presidente della Quinta Repubblica) e per la sua “follia liberale”, nel contesto transalpino. Il 1981 è l’anno “eccezionale” a tutti gli effetti e Mitterrand, primo e ad oggi unico presidente socialista (probabilmente senza mai esserlo stato socialista, veramente) non è certo un candidato normale. Lo è forse, come si è detto, nel 1988, ma il contesto era quello della rielezione. Infine non lo è, “normale”, lo Chirac del 1995, quando riesce a scalzare l’accreditato competitor interno Balladur e poi il socialista Jospin, brandendo come una lancia il tema della necessaria ricomposizione della “fracture sociale”. Il 2002 è l’anomalia assoluta e il 2007 è il trionfo dei candidati “eccezionali”: la rupture trionfa con la coppia Sarkozy-Royal.

Hollande sembra voler riproporre l’adagio di Alexandre-Marie Desrousseaux, militante socialista di inizio Novecento e inventore della formula SFIO (Section française de l’internationale ouvrière), quando nel 1905 nacque il socialismo francese. Egli amava affermare: “La Republique n’a pas besoin de surhommes, mais d’hommes surs”. Hollande è un “homme sur”? E ancora di fronte alle drammatiche incertezze economiche, il cittadino francese come giudicherà la promessa di “normalità” di Hollande?

Tra l’estate del 2010 e l’estate del 2011 il livello di popolarità di Hollande è passato dal 37% al 54%. Oggi il candidato socialista supera Sarkozy praticamente in tutti i segmenti dell’elettorato. La sua immagine di uomo consensuale e rassicurante va ben oltre l’elettorato tradizionale del Ps. Hollande, in questi tre anni, si è senza dubbio costruito un’immagine presidenziale combattendo contro le avversità interne alla sinistra. Non gli resta ora che rafforzarsi nell’ampio spazio delle avversità contro la destra. Ma qui bisognerebbe aprire un nuovo discorso e riflettere su Sarkozy, presidente dei tempi di crisi. Materiale per una prossima e approfondita analisi.

*Università di Bologna – Centro Studi Progetto Europeo