di Domenico Letizia
Tutte le odierne formulazioni filosofiche giuridiche hanno al centro delle proprie speculazioni la questione della “proprietà” e le libertà a queste collegate. Per i liberisti, puri e non, la proprietà in sé è affermazione di libertà, grazie alla proprietà vi è spazio di vita indipendente ove a gestire determinate regole e situazioni è soltanto il proprietario di determinata area. Sempre per i liberisti e ancora più per libertarian e anarco-capitalisti la proprietà privata non può essere indipendente da un sistema di libertà di scambio: in effetti è stato storicamente cosi, perché nei paesi dove per coercizione la proprietà privata venne eliminata, venne annullato anche il libero mercato.
Ma un approccio liberista alla proprietà è raramente posto all’attenzione: si tratta di capire se la distribuzione dei titoli di proprietà sia inserita nel mercato stesso, cioè se l’attribuzione dei titoli è consensuale.
Difetto dei liberisti è di non esserlo poi pragmaticamente. Il più conosciuto anarchico italiano, Errico Malatesta scriveva: “I nostri avversari difensori beneficiari del presente sistema sociale, sogliono dire per giustificare il diritto di proprietà privata che la proprietà è condizione e garanzia di libertà. E noi siamo con loro d’accordo. Non diciamo continuamente che chi è povero è schiavo?”, dichiarazione che sembra combaciare perfettamente con quando diceva l’economista austriaco F. Hayek: “Quel che la nostra generazione ha dimenticato è che il sistema basato sulla proprietà privata è la garanzia più importante della libertà, non solo per quanti posseggono proprietà, ma non meno anche coloro che non la posseggono”.
Occorre affermare che la proprietà esprime l’agibilità di spazi di libertà e individuali ma contemporaneamente è un impedimento alla libertà del “non-proprietario”. Chi ha dato un fondamento quasi metafisico alla teoria delle proprietà privata è stato l’anarco-capitalista per eccellenza Rothbard secondo cui per divenire “proprietari” non basta “occupare” un territorio ma “lavorarlo” anche solo una volta, ma per lavorarlo comunque occorre occuparlo e l’unica conseguenza logica di questo ragionamento è che l’occupazione sia frutto di una scelta di mercato dei titoli di proprietà cioè che vi sia consenso degli altri “all’occupazione” di data proprietà.
Dal punto di vista teorico non si può negare che la proprietà renda “non libero” chi non ha proprietà. La questione negli aspetti filosofici giuridici trova soluzione affermando che la proprietà è il frutto di una scelta e di interazione tra i vari individui, quindi basata sul consenso che può essere concesso ma anche eliminato, ponendo la questione in termini di diritto consuetudinario e di continuo confronto, ad aiutarci anche in questo caso è la teoria austriaca. Secondo Carl Menger, fenomeni sociali come il diritto, il linguaggio e la moneta sarebbero il prodotto e la composizione di un numero indeterminato di soggetti inconsapevoli in azione, cioè il risultato libero e spontaneo delle aspirazioni individuali dei membri di una società.
Ritornando al concetto di proprietà, così inteso, ciò empiricamente sta a significare che per una redistribuzione della proprietà bisogna rispettare condizioni per cui non vi sia monopolio sulle risorse naturali, valutare i fenomeni inclusivi del mercato e non quelli esclusivi e puramente difensivi, pecca in cui certo anarco-capitalismo spesso sembra cadere.
Un liberista che vuole applicare concretamente il liberismo deve valutare e studiare proposte concrete sul come diffondere la proprietà privata a tutti perché proprietà è libertà e la libertà diffusa rafforza la libertà individuale. Quando la teoria liberista degli pseudo-liberisti tende a valutare i fattori esclusivi della proprietà, ponendosi su posizioni difensive e sacralizzando il proprio “possesso” non fa altro che lavorare contro la libertà stessa.
Chi nel mondo anarchico si è soffermato dettagliatamente sullo studio della proprietà anche nei suoi termini etici e filosofici è Proudhon considerato a volte da molti e ingiustamente come continuamente dispersivo e contraddittorio.
Per Proudhon secondo il diritto naturale la proprietà è un furto ma è essenziale, però “la proprietà non esiste per se stessa”, “posso forse – si chiede – in un teatro occupare simultaneamente un posto in platea, un altro nei palchi e un terzo in galleria? (…) Secondo questo paragone, ciascuno può sistemarsi come preferisce nel suo posto, può abbellirlo e migliorarlo: ma la sua attività non deve mai superare il limite che lo separa dagli altri”. Una rivalutazione non sacra dei titoli di proprietà e che sembra seguire proprio quel meccanismo di consenso di cui discutevamo.
Differenza tra un libertario amante della libertà individuale e uno pseudo-liberista va cercata proprio nella diversità e nelle applicazioni di queste formulazioni teoriche.