di Renata Gravina

In occasione dell’ anniversario della rivoluzione del 1956, il 27 ottobre scorso, uomini e donne della Rete sono scesi in piazza, a Budapest, per contrastare la Legge bavaglio, l’ultimo dei limiti posti alla libertà di espressione del governo Orbàn.

Il Primo Ministro ha infatti istituito un’autorità di controllo dei media, Nmhh, che punisce con misure di censura e multe pesantissime i media critici. Questo il nodo principale che ha dato il via alla protesta. Ma buona parte della Costituzione è stata riscritta in senso autoritario e nazionalista.

I media, l’amministrazione pubblica, scuole e università sono state rese conformi al volere del Partito di maggioranza. Gli ultimi provvedimenti governativi hanno quasi annullato l’autorità del potere giudiziario, abolendo l’equivalente magiaro del consiglio superiore della magistratura e instaurando la nomina dei giudici da parte del governo.

Dopo le elezioni dell’aprile 2010 l’Ungheria è governata stabilmente dal partito conservatore Fidesz, Alleanza dei giovani democratici, con un  52,7% dei voti . La novità è però l’ingresso in parlamento come alleato a Fidesz, del  partito di estrema destra Jobbik. che, con un 16, 7% di voti, si è inserito di diritto ai vertici di Governo.

Fidesz esiste nel suo nucleo dal 1988 come portatore di un’ideologia anticomunista e liberal libertaria. Il suo iter ha virato da un’iniziale inclusione dei Democratici ad un’inversione di tendenza, dal 1994, verso posizioni strettamente conservatrici, premessa all’ingresso di una personalità come quella di Viktor Orbàn.

Quest’ ultimo, alleatosi con il Jobbik, o Movimento per un’ Ungheria migliore, si è legato indissolubilmente alla destra radicale. Jobbik infatti è forte della Guardia Magiara, milizia paramilitare che evoca toni razzisti contro i rom e gli immigrati. Il manifesto del partito di Jobbik si basa su un populismo nazionalista e antiglobalista, che fonde xenofobia, moralismo cristianista conservatore e proposte sociali prese a prestito dalle antiche tradizioni socialiste. Il leader, Gabor Vona, ha promesso un’opposizione dura alla destra liberista ed ha avuto il merito d’intercettare il profondo malessere dei ceti più poveri della popolazione.

Lo sguardo ad Est di Jobbik è il tratto che lo rende  nient’affatto incolore o innocente. Il partito dichiara apertamente che l’Ungheria non è solo quella che sta nelle sue attuali frontiere, ma dove stanno gli ungheresi. Abbiamo dunque un nazionalismo pan-ungherese, l’idea risorgente della Grande Ungheria.

Il Manifesto di Jobbik non a caso insiste ripetutamente sul “Bacino carpatico” (nonché sui Balcani), quasi come questo fosse – ma questo lo diciamo noi – una specie di “spazio vitale” ungherese.
Vista la consistenza delle minoranze ungheresi in Serbia (Vojvodina), in Romania e in Slovacchia, questi paesi hanno di che stare in allerta. Cosa accadrebbe, ci chiediamo, se un domani non lontano Jobbik, spinto dalla crisi sociale, giungesse al potere? Quanto reggerebbe la Pax europea?

Il terreno fertile all’Ungheria lo ha offerto la storia. Dopo la fine del comunismo l’Ungheria era una delle promesse economiche tra i paesi dell’ex Patto di Varsavia, eppure, nell’arco di pochi anni, la situazione è implosa. L’economia è stata frustrata dalla corruzione socialista e quando infine anche la moneta è stata svalutata, Orbàn si è fatto trovare in prima linea a salvare i connazionali.

Orbán è un politico dotato ed esperto più del suo predecessore Haider. Con una militanza entro il movimento di opposizione democratica egli è tornato al potere dopo due sconfitte elettorali con un impressionante spirito battagliero. Il suo mix di populismo, messianesimo pannonico e nazionalismo ottocentesco rappresentano il male di cui  l’Europa non si è mai liberata e che ritorna ciclicamente secondo la congiuntura economico sociale.

L’estrema destra pretende di essere l’antidoto all’insoddisfazione sociale, ma, come ha affermato lo storico ungherese Fejto, a proposito della destra lepenista in Francia, il nazional-populismo è un fenomeno pernicioso che ha una dimensione europea e scaturisce dalla crisi economica, dal declino del consenso democratico e dal crollo dei miti della sinistra non comunista. In effetti, il problema non è l’avanzata delle destre, ma la fertilità con la quale  si riproduce  il nazional-populismo su scala europea, quale manifestazione parossistica di una hobbesiana “libertà ferina”.