di Ciro Fucci

Il 20 ottobre non rappresenta solo la data della morte di Mu’ammar Gheddafi ma anche un nuovo orizzonte nel tentativo di instaurare un regime democratico in Libia. In questo scenario avere un quadro completo e coerente, per quanto possibile, dell’intricato tessuto tribale che ha da sempre contraddistinto la gestione delle risorse pubbliche in Libia è un fattore di primaria importanza per l’analisi dei possibili risvolti futuri. Sin dalla morte del raìs i capi tribù, con la supervisione del CNT, cercano insistentemente di ridisegnare la loro importanza attraverso la redistribuzione delle ricchezze.

Delle oltre cento tribù esistenti, all’incirca trenta hanno attualmente una influenza politica significativa; queste, grazie alla mediazione astuta di Gheddafi, per circa quarant’anni hanno mantenuto la pace in cambio di alte cariche pubbliche e della gestione delle risorse energetiche: in questo contesto bisogna ricordare due provvedimenti adottati dal regime, ossia l’istituzione nel 1994 del Comitato dei leader tribali, che sancì il loro coinvolgimento ufficiale nei processi decisionali del paese e l’entrata in vigore del Codice d’onore, del 1997, che prevedeva punizioni per le tribù che avessero ordito congiure contro il regime.

Il ruolo delle tribù all’inizio della rivoluzione libica è stato ambiguo, incerto, diviso, ovvero misurato e calcolato in base ai loro obiettivi politici.

Cirenaica, Tripolitania e Fezzan: dando uno sguardo alle tre macro-aree dello “scatolone di sabbia” si nota come le tribù pro-regime abbiamo sempre avuto terreno fertile nella zona della Cirenaica (Derna e Bengasi), mentre l’ala più ostile del regime ha avuto una più folta rappresentanza nelle zone della Tripolitania; per quanto riguarda la regione del Fezzan, la presenza del deserto non propone una significativa densità demografica ma la nascita e lo sviluppo di società tribali non sono stati meno influente in quanto le riserve petrolifere sorgono in gran parte in questa area, che molto spesso è stata oggetto di infiltrazioni da parte dei fondamentalisti islamici.

Il fatto che in Libia il vento di primavera non sia partito da rivolte studentesche ma dal cambio degli equilibri interni alle mini-società tribali che, a differenza della Tunisia e dell’Egitto, in questi anni si sono sostituite ai partiti ed alle istituzioni, fa sì che nell’attuale situazione un ruolo chiave venga giocato alla tribù Warfalla, che conta circa un milione di affiliati, un sesto sul totale della popolazione.

L’adesione della tribù Warfalla, prima vicina a Gheddafi, al progetto del CNT, ha cambiato radicalmente lo scenario della rivolta, che in tempi rapidi ha portato all’abbattimento del regime; a questa si aggiungono i critici del regime dell’ultima ora, come la tribù Magariha, di cui il più influente rappresentante è stato ed è Abdessalem Jalloud, a lungo numero due di Gheddafi; si sono unite ad esse Misurata, Zentan, Tahruna ed Awaqir che, messe da parte le ostilità di lungo corso, hanno combattuto un nemico comune, seppur con le dovute distanze politiche e differenze culturali.

In sintesi tutte queste tribù nel corso dei secoli hanno avuto ben poco in comune se non la sete di potere.

I Qadhafa, tribù da cui proveniva il raìs, poteva contare sino a pochi mesi fa numerosi uomini all’interno dei posti-chiave del Paese: molto probabilmente il sistema di lottizzazione tribale adottato dal Colonnello è finito per ritorcersi contro quest’ultimo in brevissimo tempo.

Il fatto singolare che numerosi gruppi etnici culturalmente agli antipodi come arabi, berberi, tebu e tuareg si siano coalizzati per far cadere il regime è straordinario ma contemporaneamente fa sorgere delle domande: chi sarà disposto a mettere da parte le proprie tradizioni e le proprie ataviche appartenenze per favorire il futuro democratico della Libia? Chi contribuirà ad accordare le varie richieste delle para-istituzioni libiche radicate da secoli sul territorio? Se il CNT facesse orecchie da mercante a queste richieste il rischio di “somalizzazione” della Libia sarebbe più che probabile.

Una guerra civile è finita, un’altra rischia di cominciare.