di Maria Mercede Ligozzi *
Nell’articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 9 agosto 2011 Gillo Dorfles ritiene che la disamina della cultura contemporanea contenuta nel pamphlet L’hiver de la culture (pubblicato in Francia nel 2011 da Flammarion e in Italia da Skira) di Jean Clair è “molto pericolosa”, sia perché l’intellettuale francese (membro dell’Académie française e direttore del Musée Picasso di Parigi e della Biennale di Venezia nel 1995) ritiene che l’arte contemporanea sia dominata da una estetica del disgusto, oltreché da una logica speculativa dei mercanti e critici d’arte, sia perché nel XXI secolo la concezione del museo, quale luogo della conservazione della memoria identitaria di una nazione, è stata stravolta dalla logica del marketing e della cultura come intrattenimento.
Secondo Dorfles, inoltre, le affermazioni di Jean Clair sono ancor più pericolose perché fanno riferimento al celebre saggio di Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, che invece per lo storico Franco Cardini è di insospettabile attualità ed è “tragicamente plausibile” nelle società contemporanee. Come afferma Vincenzo Trione, sul “ Corriere della Sera” dell’8 agosto 2011, Clair è in sintonia con Fumaroli che considera il patrimonio culturale degradato a luogo commerciale, ma si potrebbe aggiungere che Clair è in linea anche con Jean Baudrillard, il quale afferma che le masse che visitano i musei, senza comprendere la loro storia e il loro passato, consacrano il “lutto di una cultura che in fondo hanno sempre detestato”. Proprio in tal senso, Clair fa riferimento al museologo Henri Rivière, che affermava l’importanza del ruolo formativo del museo piuttosto che misurarne il successo dal numero di visitatori, contrariamente agli orientamenti contemporanei delle politiche culturali che si attestano sempre più su logiche di mercato fondate sui numeri di visitatori e sui conseguenti incassi. Secondo Clair, infatti, nell’“inverno della cultura” prevale una logica mercantile che trasforma i musei in un parco giochi “stile Disneyland”. Nella intervista di Benedetta Craveri del 3 ottobre 2011 pubblicata su “La Repubblica”, Clair considera l’attuale deriva dell’arte contemporanea riconducibile al “1968, che ha prodotto una società caratterizzata dall’efebismo e dall’edonismo” di massa e una conseguente arte “effimera e autodistruttiva”. Secondo Clair, tale desertificazione della cultura contemporanea, che ha ridotto l’arte a simulacro e i “templi della cultura” a “grandi magazzini”, ha attraversato tre fasi: dalla “cultura del culto” nella quale l’arte celebrava il trascendente, sino alla deriva dell’arte ridotta a mero mercato. Inoltre, i “milioni di curiosi” che assalgono i musei possiedono una concezione idolatrica della cultura, definita da Clair “culto idolatrico”, che sembra reificare quell’idea del filosofo Ortega y Gasset che ha origine dalla dottrina del pensiero della filosofia greca e dall’“impero della ragione” dell’illuminismo, le quali hanno prodotto nella cultura occidentale una “divinizzazione dell’intelligenza”, quale “bigottismo della cultura”.
Sul piano della ricerca sociale, alcuni studi empirici italiani e internazionali sui pubblici dei musei dimostrano le correlazioni tra la fruizione dei luoghi culturali, la tipologia di pubblici e i gusti culturali e, dagli indicatori rilevati nelle ricerche, al di là delle descrizioni socio-demografiche, il pubblico è composto da persone in possesso di elevati titoli di studio (diploma, laurea e post-laurea) che esercitano professioni intellettuali, tecniche, scientifiche e specialistiche (insegnante, impiegato, dirigente e imprenditore). L’eterogeneità dei pubblici che frequentano i luoghi culturali è un fenomeno contemporaneo che ha origine dal processo di democratizzazione delle politiche culturali avviate in occidente sin dagli anni ’70, le quali hanno incrementato la fruizione di massa. In tal senso, perciò, per restituire ai milioni di visitatori dei musei il “piacere di guardare, di capire e di sentire”, Jean Clair afferma che è necessario restituire all’arte “bellezza e purezza”, suscitare emozione, esperienza mistica fondata su profonde radici spirituali da contrapporre all’estetica del disgusto che, contrariamente a Clair, secondo Gillo Dorfles rappresenta “nuove forme creative”, ossia il “nuovo” anche se può non essere “piacevole”. Infine, secondo Clair , è necessario restituire ai musei il “giusto significato” e ricondurre l’arte all’identità europea e all’“unicità del suo genio”.
* Responsabile Osservatorio sul pubblico Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea