di Renata Gravina
Elisabeth Badinter ha rivelato in un’intervista riportata su Repubblica le ragioni del suo nuovo saggio Mamme cattivissime? Secondo la studiosa “anche il femminismo sembra aver perso i suoi punti di riferimento, lasciando prevalere il naturalismo rousseauiano”. La scrittrice e filosofa francese, erede di Simone de Beauvoir, polemizza con i lasciti nefasti del neofemminismo americano in Francia.
Originatosi dagli anni Ottanta ed in seguito trapiantato nelle menti delle femministe francesi, questo neofemminismo, secondo la Badinter “abbandonando l’universalismo e la rivendicazione di pari diritti, si è rintanato in una posizione sessista in cui la diversità femminile si rappresenta attraverso la figura materna”.
L’orientamento teorico di questo femminismo radicale americano, deriva direttamente dalle posizioni di maggiore estremismo e contestazione presenti in seno allo stesso movimento femminista degli anni Settanta. Si tratta di un radical feminism che guarda alla moderna società industriale come “patriarcale” nel senso che le relazioni di gender sarebbero la perpetrazione di un sistema globale di dominio maschile sulla donna, male-oriented. Il movimento si fissa sulla posizione di genere che differenzia l’uomo e la donna e che non è stata mai modificata in quanto radicata nella costituzione del tessuto sociale.
What’s Personal is Political, lo slogan del femminismo anni Settanta sembra allora valere ancora in una neoversione che si rifà a testi quali American Feminism. A Contemporary History, che ne offrono il manifesto. Figura chiave referente del movimento è la giurista MacKinnon che supporta anche a livello legislativo le nuove battaglie neofemministe con i suoi Feminism Unmodified: Discourses on Life and Law e con Toward a Feminist. L’interpretazione del neofemminismo si traduce, in effetti, nel convincimento che per modificare il sistema di dominio-oppressione della società “patriarcale”, non sia sufficiente intervenire su aree specifiche ma occorra avviare una trasformazione drastica e totale delle fondamenta politiche, culturali, istituzionali ed economiche della struttura sociale. La MacKinnon ritiene che il neofemminismo abbia il dovere di intervenire in maniera strutturale a modificare il tessuto sociale ed aggiornare la legislazione. Dalla famiglia alle relazioni di lavoro, dalle istituzioni accademiche e scientifiche alle funzioni dello Stato, dai modelli produttivi a quelli di scambio, dalle forme di appartenenza religiosa al linguaggio comune.
Il punto nevralgico della neorivoluzione sta nella reinterpretazione della figura materna che ritorna, con un paradosso, alla tradizione. La maternità diviene la caratteristica naturale che contraddistingue l’esperienza femminile e che viene vissuta in antitesi al ruolo paterno e maschile insieme. La donna finisce per attaccare con la rivendicazione della maternità di nuovo l’autorità maschile e, come ricorda la Badinter, si presenta quale vittima disarmata, insieme alla prole, di fronte alla violenza maschile.
L’errore nella reinterpretazione filo- rousseauiana della donna sembra allora essere quello di ammettere con una dichiarata auto confutazione che l’essere femminile non possa estrinsecare un ruolo autonomo indipendentemente dal Bios. Il progressivo trionfo del desiderio e dell’autonomia nella gestione del esso, affermatosi con le lotte sessantottine sembra essersi tramutato nella parodia del desiderio stesso che è l’inserimento della funzione vitale femminile nel ruolo di generatrice, di educatrice emotiva ed instabile, incapace di portare avanti relazioni che non siano apologia del sentimento, della fusione e della vicinanza.
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