di Michele Marchi

Nell’oramai ultra cinquantenaria storia della Quinta Repubblica francese, solo un inquilino dell’Eliseo non è riuscito a fare due mandati alla guida del Paese: Valery Giscard d’Estaing. De Gaulle è stato eletto nel 1965 per il suo secondo mandato, anche se la prima elezione, del dicembre 1958, non era avvenuta a suffragio universale diretto. Pompidou è scomparso nell’aprile 1974, a meno di cinque anni dalla sua prima elezione. Mitterrand e Chirac hanno trascorso rispettivamente quattordici e dodici anni (il secondo mandato di Chirac era già dell’odierna durata di cinque anni) all’Eliseo. E’ tempo che Giscard rompa la sua solitudine e Sarkozy lo raggiunga nell’Olimpo dei presidenti ai quali non si offre una seconda chance? Insomma la prossima campagna per eleggere il “monarca-repubblicano” sarà un copione già scritto? Il “candidato normale”, Hollande, sarà il secondo presidente socialista della Quinta Repubblica?

Fino a tre mesi fa qualsiasi francese dotato di buon senso non avrebbe scommesso un euro sulla riconferma di Sarkozy. Oggi non solo l’uomo comune è meno certo, ma anche gli osservatori e gli specialisti predicano prudenza. Cosa è avvenuto di rilevante? Tutto e niente, si potrebbe affermare. Si sta solo correttamente diffondendo l’idea, in parte fatta propria anche da Hollande, che non bisogna confondere scarsa popolarità e garanzia di sconfitta.

Ecco il primo punto interessante: Sarkozy continua ad essere, nonostante qualche oscillazione sensibile verso l’alto, un presidente fortemente impopolare, o meglio un presidente che ha fatto della sua impopolarità la cifra costitutiva di tutto il suo mandato (si possono escludere solo i primi sei-nove mesi). Ma con il progressivo avvicinarsi del momento elettorale, con il lancio delle varie candidature e l’esito delle primarie socialiste, è cominciato ad essere evidente che l’impopolarità è condizione necessaria per non essere rieletti, ma può non essere una condizione sufficiente.

Vale allora la pena osservare schematicamente perché la sua rielezione sembri oggi meno chimerica, pur rimanendo alquanto complicata.

Innanzitutto Sarkozy si trova a dover affrontare da presidente in carica l’odierna drammatica congiuntura di crisi. I recenti casi di Danimarca e Spagna, ma anche lo stesso anomalo caso italiano, (per non parlare di quello greco) dimostrano in maniera lampante che l’elettorato in grave difficoltà, soprattutto economica, cerca responsabili e capri espiatori e di conseguenza predilige alternanza e  cambiamento, senza ragionare troppo sulla fattibilità di molte delle ricette proposte per uscire dalla crisi.

In secondo luogo Sarkozy si presenta di fronte ai francesi con un bilancio del suo quinquennio molto negativo. È vero che, probabilmente, il distacco della storia aiuterà a separare gli errori di immagine e di strategia, da quelli di sostanza e di scelta politica. Le elezioni però si vincono sugli umori e sui bilanci sommari e questi sono per Sarkozy molto negativi: come affrontare i 2,9 milioni di disoccupati (livello record da dodici anni) e la probabile perdita della tripla A? La rupture si è infranta in parte sulle rigidità del sistema economico-sociale transalpino, in parte, bisogna con onestà intellettuale ricordarlo, sulla crisi esplosa a partire dal 2008. Dunque bilancio magro sia per quanto riguarda i risultati concreti, sia per quello che concerne il modo di incarnare il ruolo di Presidente della Repubblica.

Unico ambito dove forse Sarkozy è riuscito a declinare in maniera positiva il suo volontarismo è quello della politica estera e più in particolare dell’attivismo a livello europeo. Attenzione però anche a questo punto: proprio l’utilizzo della carta europea può tramutarsi in un’arma a doppio taglio per l’inquilino dell’Eliseo. Nel cosiddetto “Merkozy”, chi ha esercitato la leadership e chi è andato al traino? Stampa e opinione pubblica francesi non hanno dubbi: Sarkozy ha soltanto seguito e assecondato lo strapotere tedesco. Sarkozy, a questo punto, potrebbe essere ricordato come il primo presidente francese che ha formalizzato quello spostamento del baricentro dell’Europa verso est, ufficializzando il primato anche politico di Berlino su Parigi.

Dalla politica europea ancora alla politica interna per segnalare la quinta ed ultima grande difficoltà del presidente uscente: la crescita costante delle intenzioni di voto per il Fronte nazionale di . Nel 2007 Sarkozy aveva svolto un compito molto attento, per certi versi spregiudicato, ma comunque vincente, di prosciugamento degli argomenti “frontisti”, così da impedire un successo del FN al primo turno. Ogni candidato della destra repubblicana sa che solo una parte, e spesso non maggioritaria, di elettorato FN, finisce per votarlo al secondo turno. Un Fronte Nazionale che dovesse rimettere in discussione la logica bipolare e bipartitica così evidente alle presidenziali del 2007 è garanzia di sconfitta quasi certa per il candidato neo-gollista.

Eppure nonostante questa serie di handicap e mancanze, l’ipotesi di altri cinque anni di Sarkozy all’Eliseo non deve essere a priori esclusa. E questo essenzialmente per gli errori che sta commettendo il suo più accreditato sfidante François Hollande. I numeri restano per lui incoraggianti: attorno al 28% al primo turno e vittoria al ballottaggio con il 54-56%. Ma questa buona tenuta nei sondaggi non cela gli errori che potrebbero contribuire ad offuscare gli handicap di Sarkozy. Le mancanze del candidato Hollande sembrano di due tipi, differenti, ma ugualmente gravi.

Prima di tutto Hollande non è riuscito, nei tre mesi passati dal trionfo delle primarie, a trasformarsi da candidato interno, a pretendente per la presidenza della Repubblica. Hollande si comporta ancora da candidato alle primarie del PS. Questo è risultato abbastanza evidente nel fallimentare negoziato con i verdi sulle candidature alle legislative di giugno 2012 e sul delicato argomento del nucleare, ma anche nella velleitaria “mano tesa” al centro di Bayrou e nel timore (evidente se si osserva la formazione della sua equipe di campagna elettorale) di vedersi attaccato o scarsamente sostenuto dal partito. Proprio questa difficoltà ad imporre la sua autorevolezza al partito è il sintomo della seconda grave mancanza. Su questo punto Hollande non fa altro che ripresentare l’anomalo rapporto tra i socialisti francesi e lo sviluppo istituzionale della Quinta Repubblica. Il PS non sembra aver fatto propria fino in fondo la logica presidenziale delle istituzioni volute da de Gaulle. E su questo fronte Hollande dovrebbe tornare indietro e studiarsi l’approccio mitterrandiano. Alla domanda, frequente in campagna elettorale, sulla formazione del nuovo governo, Mitterrand amava rispondere: “Questa non è la giusta domanda. La vera questione in ballo è l’elezione presidenziale”. Hollande ha imparato questa lezione? E soprattutto ha la forza per imporla al PS?

In definitiva, a poche settimane dall’apertura della campagna elettorale ufficiale, Sarkozy staccato di 3 punti percentuali al primo turno rispetto ad Hollande e di 12-15 all’eventuale ballottaggio, si trova in una posizione non comoda, ma per certi versi paradossale. Il suo sfidante numero uno potrebbe tramutarsi nel suo più decisivo “alleato” per risalire la china e rimanere altri cinque anni all’Eliseo. Potrà bastare tutto ciò? E’ certamente presto per dirlo. Ciò che si può affermare senza dubbio è l’inconsistenza del PS, che fatica a trovare una linea politica coerente e di sostegno al suo candidato e di conseguenza rischia di perdere un’occasione più unica che rara di tornare alla guida del Paese.

Proprio questo paradosso porta inevitabilmente ad un’ultima considerazione, più generale. Oltre agli effetti economici evidenti l’attuale lunga e complicata crisi sta avendo un impatto “politico” impressionante. Cinque anni fa il “laboratorio francese” era parso un esempio di novità e ritorno al primato della politica, fatta di partecipazione attiva ed interessanti slanci ideali. Oggi il panorama è piuttosto desolante, con il presidente in carica che dichiara di volersi occupare dei problemi del Paese fino all’ultimo giorno del mandato e lo sfidante più accreditato che tentenna e al massimo tenta di decostruire il progetto elaborato un anno fa dal suo partito (vedi il caso della folle proposta del ritorno alla pensione a 60 anni). Sarkozy eviterebbe di scoprirsi e Hollande copierebbe il Mitterrand del 1981, quando il candidato socialista lasciò che fosse Chirac a distruggere Giscard e il comunista Marchais ad auto-eliminarsi? Leggendo la sua lettera pubblicata da Libération il 3 gennaio scorso, tutta impostata sui quattro concetti-cardine di “verità, volontà, giustizia e speranza”, più che al machiavellico e pragmatico Mitterrand si finisce per pensare ad una gauche postmoderna e un po’ ideologicamente vintage. In definitiva il rischio sembra essere quello della classica vittoria del candidato “meno impresentabile”. Insomma, anche lo specchio francese finisce per riflettere immagini politiche poco rassicuranti.

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