di Manlio Lilli

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” afferma Dante nel VI canto del Purgatorio, scagliandosi contro i mali del Paese dei suoi tempi. Dopo di lui in diverse occasioni l’Italia non sarà molto diversa da quella che descrive.  Ma sempre, quasi sempre, anche nelle fasi più buie, emergono personalità di rilievo che con il loro profilo segnano indiscutibilmente capitoli della storia del Paese. Accade così anche per Giovanni Giolitti.  Il quale, come ha dichiarato Aldo A. Mola, direttore del Centro a lui intitolato, “non fu mai iscritto a partiti, sindacati, congreghe né mai patteggiò il sostegno di chiese o di eresie. Fu un uomo dello Stato. Perciò nessuno ha potuto farne un’icona strumentale …”. La sua personalità, a lungo discussa da una frangia che aveva i suoi più strenui sostenitori in Giuseppe Prezzolini e Gaetano Salvemini, ormai da tempo appare inserita tra i rappresentanti delle istituzioni che per dimensione superiore entrano nel ben più ristretto cerchio degli statisti.
Un contributo definitivo in questa direzione offre la pubblicazione dei suoi carteggi ed atti ministeriali a cura di Aldo A. Mola e Aldo G. Ricci in collaborazione con l’Archivio Centrale dello Stato. Nei cinque volumi, per 4.363 pagine, introdotti da una bella prefazione di Francesco Cossiga, si condensano gli innumerevoli atti con i quali Giolitti, mostrando di possedere una ben definita visione dell’Italia futura, tentò di avviarne la modernizzazione, allargarne la base democratica e consolidarne la coesione.
A partire dal 1889 fu ministro del Tesoro, cinque volte presidente del Consiglio, sei volte ministro dell’Interno. La sua azione seppur frammentata in diversi governi potè pienamente esplicitarsi almeno fino al 1920, non disgiunta dall’usilio fornitogli da ministri di spessore, quali, tra gli altri, Vittorio Emanuele Orlando, Francesco Saverio Nitti e Benedetto Croce. I due ultimi decenni dell’Ottocento ed i primi del secolo successivo costituiscono una fase di cambiamenti radicali per il Paese, anche nel suo tessutto sociale. Con la nascita di nuove industrie, che vanno a connotare le maglie delle vecchie città. Con la nascita di una borghesia produttiva e di una classe operaia. Giolitti é per intero all’interno di questa trasformazione. Non la osserva dai suoi posti di potere, ma cerca di indirizzarla con decisioni incisive e innovative. I carteggi mostrano la sua attenzione ai temi economici. Un’attenzione alle questioni più disparate. Da quella ai movimenti delle banche, alla spesa di ciascun dipartimento di ogni ministero, senza tralasciare quella alla mietitura del grano, con l’intento di essere informato sull’entità del raccolto.
La maniacalità ragionieristica che sembra trasparire dalla lettura di non pochi documenti non é soltanto il segno più evidente del rigoroso ministro. E’ anche il necessario strumento per poter contare su “tesoretti” da spendere nella realizzazione di una serie di infrastrutture. Giolitti é convinto che attraverso le opere pubbliche sia possibile raggiungere un duplice, importante, obiettivo. In primis fornire il Paese di una struttura materiale efficiente, ma anche realizzare uno spot, da far girare almeno in Europa, sulla nuova Italia.
Molto puntò sulla sua politica sociale, come dimostrano alcune sue misure quali il rafforzamento delle organizzazioni operaie, il rialzo dei salari, una nuova legislatura sull’orario di lavoro, interventi sulle pensioni e per il sud. Tuttavia non riuscì a mettere in campo azioni veramente capaci di reiquilibrare le gravi contraddizioni che lo sviluppo del Paese andava creando, il più grave dei quali fu l’accrescersi del dualismo economico fra Nord e Sud.
Tra i meriti, che i volumi dedicati a documentare la vita nelle istituzioni di Giovanni Giolitti certamente hanno, figura la possibilità di scandagliare tra le sue decisioni e le sue intenzioni. Direttamente, senza intermediazioni. E’ così che, accanto ai tanti aspetti della sua figura, in parte noti, é possibile aggiungerne un altro. Quello di uomo pragmatico, anche per quel che rigurda lo stile utilizzato. Uno stile nel quale la retorica non fai mai capolino, così come i commenti. Sono le questioni l’unico focus. Su di loro bisognava concentrare ogni attenzione. Per tentare di fornire risposte. Che Giolitti non sempre seppe elaborare. Ma che continuamente ricercò.

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