di Renata Gravina

“La Serbia non puo’ emigrare… gli uomini possono emigrare, la patria no”.  Crnjanski descrive così, in Migrazioni, la catarsi storica serba che ha condotto gli slavi del sud ad una rivendicazione del Kosovo.
Lo scorso sabato 14 dicembre è stato ricordato dai kosovari come festa dell’autodeterminazione ed è stato caratterizzato dalla manifestazione di Vëtevendosje – autodeterminazione -, il movimento dei kosovari contro le misure di reciprocità  mutuate dalle politiche dei trattati europei e appoggiato esternamente da alcune organizzazioni nazionaliste albanesi.
Il presidente serbo dei DS (partito democratico) Tadiċ , resta coerente al paradosso di Belgrado secondo cui le autorità serbe, da sempre opposte all’indipendenza kosovara, hanno però l’ ardire di aderire all’Ue.
I tre livelli sui quali si gioca la partita geopolitica tra Serbia e Kosovo sono internazionale, regionale e locale.
Il governo di Belgrado è costretto a scegliere tra la sua provincia e l’ adesione all’Ue, mentre gli slavi di  Mitrovica, nel nord del Kosovo, chiedono la cittadinanza russa, sperando in un appoggio di Mosca contro la maggioranza albanese che già  li «ospita indesideratamente»
Almeno ventimila serbi stanno in effetti cercando di ottenere la cittadinanza russa per timore di una futura  indipendenza dell’intero Kosovo dalla Serbia. Quei serbi, si sentono al sicuro sotto la protezione internazionale ed il timore di perderla li fa pendere verso Mosca. La tensione è aumentata fortemente negli ultimi mesi. Tomislav Nicolić leader di SNS, partito progressista serbo di opposizione nazionalista e fautore di una Serbia unita è convinto d’interrompere il dialogo con l’Ue se il prezzo all’ingresso nell’unione resta il Kosovo. Le resistenze nazionaliste hanno fagocitato gli entusiasmi di tutti i  serbi che ricordano l’epos nazionale.
Dopo la richiesta di candidatura della Serbia in Europa nel 2009, l’ accordo di libero scambio raggiunto nel 2010 e l’arresto di Mladic il 26 maggio 2011, dall’estate scorsa le frontiere del nord del Kosovo sono divenute  roventi. Il trattato di Bucarest del 1913 non è mai stato accettato dai kosovari, del resto anche il  Kosovo ha messo in discussione le misure di reciprocità care all’Ue prima in parlamento, il 7 dicembre ed ora in piazza. Le frontiere di Merdare e Dheu rappresentano il blocco, l’ embargo delle merci serbe in Kosovo e simbolicamente la ramificazione degli estremismi nazionalisti kosovari, specchio di quelli serbi. Capeggiato da Albin Kurti, Vëtevendosje, risponde a  Tomislav Nicolić, suo antagonista, con la rivendicazione di un’autodeterminazione kosovara che permetta un riconoscimento reciproco di entità distinte. Nicolić pero’ è convinto, con SNS, di giungere prossimamente al governo attraverso  una coalizione che coinvolga DSS, partito democratico serbo e tutte quelle minoranze che anelino salvare l’integrità del Kosovo serbo. Anche il movimento di Kurti destabilizza il Kosovo ed il  governo di Thaçi, esponente del PDK partito democratico. L’ ondata nazionalista allarma poi  senza dubbio il  Quintetto (Usa, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna) dei diplomatici dei vertici forti  e crea al contempo aspettative geostrategiche per la Russia.
La mitopiesi serba si confonde con la politica estera contingente e la storia ritorna, come si fosse appena consumata. “Le partenze e le migrazioni li resero torbidi ed effimeri, come il fumo dopo la battaglia” (Migrazioni). Dalla grande migrazione dei serbi dal Kosovo, storicamente sfuggiti agli ottomani, nacque il mito del vuoto etnico colmato dagli albanesi islamizzati. La vicenda dell’insoddisfazione nazionale serba, fonte di malinconia e di velleità su un futuro che è proiezione di un passato mitico, continua a nutrire le generazioni sul destino di migrazione perenne che permetta agli antenati di reincarnasi.

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