di Giuliano Gioberti

“Nevica, governo ladro”. Da quando c’è Monti alla guida dell’esecutivo, nemmeno una battutaccia del genere ci si può permettere: si rischia di passare, più che per qualunquisti, per nemici della patria e per disfattisti.

E si che ci starebbe bene, in queste ore, prendersela (almeno) con chi governa, visti gli incredibili disagi che gli italiani stanno affrontando ormai da due giorni a causa della neve e del ghiaccio: aerei che non decollano, treni fermi nelle stazioni o in aperta campagna, strade bloccate al traffico, scuole e uffici pubblici chiusi, cittadini barricati in casa, intere zone senza acqua e luce e purtroppo (da ieri) le prime vittime a cause del gelo.

Il problema è che nevica e basta. E nevica semplicemente perché siamo nel cuore dell’inverno. Ma dinnanzi ad un evento tanto ordinario e scontato, oltreché largamente previsto e annunciato, l’Italia si scopre e si rivela agli occhi del mondo, ancora una volta, debole e fragile, vittima del consueto spirito di improvvisazione.

Debole innanzitutto sul piano organizzativo, logistico e infrastrutturale, il che per un Paese che aspira a restare un potenza mondiale suona gravissimo. Fossimo il Madagascar o Ceylon, si potrebbe capire: da quelle parti una nevicata diventa un evento biblico, un racconto da tramandare da una generazione all’altra. Ma siamo, per chi se lo fosse dimenticato, un Paese chiuso al Nord dalle Alpi e attraversato da una lunga catena appenninica che dalla Toscana giunge praticamente sino alla Calabria. Dove sta l’emergenza o la novità se cade una neve abbondante? Che cos’è questo susseguirsi di bollettini allarmistici, di cronache concitate, di appelli ai cittadini, di sindaci in fibrillazione per una congiuntura meteorologica come se ne conoscono ogni anno da secoli?

E anche ammesso che questa volta, complice il vento siberiano, le precipitazioni nevose siano state più abbondanti del solito, anche ammesso che si tratti per davvero di un’emergenza o di un evento fuori norma, possibile che sembri la fine del mondo, possibile che un intero sistema viario e dei trasporti sia collassato così miseramente, a partire dalla città capitale? Immaginate se in Svezia o in Germania – dove nevica e fa freddo non per qualche giorno ogni tanto ma per settimane e mesi tutti gli anni – si fermassero treni, ospedali, asili e fabbriche in attesa della primavera! E infatti non accade: anche con neve e ghiaccio la vita prosegue, senza interruzioni, giusto con qualche normale disagio. Basta essere un po’ organizzati, come si conviene a una comunità civile e avanzata, che sappia minimamente attrezzarsi anzitempo.

E invece in Italia ogni volta – che piova o che nevichi, che faccia calda o tiri vento – si deve assistere al triste spettacolo che stiamo vedendo: caos, improvvisazione, inadempienze d’ogni tipo, mancanza di coordinamento tra le diverse autorità, cittadini lasciati alla mercé del destino, piani di intervento perfetti sulla carta ma che nessuno riesce ad applicare. La causa evidentemente è che siamo una nazione incapace di programmare e prevedere alcunché, che si affida ogni volta al volontarismo e al senso del dovere di pochi, che dispone di molti mezzi ma semplicemente non sa come utilizzarli nel momento del bisogno, che si limita a sperare nella buona sorte.

Una debolezza o fragilità, quella italiana, che impressiona soprattutto al livello dei suoi gruppi dirigenti: d’ogni colore e a ogni livello, politico o amministrativo. Le polemiche che stanno accompagnando l’odissea di Roma – finita letteralmente in ginocchio a causa di una nevicata abbondante – ne sono la dimostrazione. Nessuno che si assuma le sue responsabilità o che sia in grado di dire la verità ai cittadini. Catene di comando che non esistono o semplicemente non funzionano. Il solito scaricabarile tra autorità per dare la colpa agli altri. Notizie confuse che vengono da mille fonti e che drammaticamente si accavallano. Dovremmo essere un sistema complesso, pronto ad affrontare ogni evenienza, siamo invece una sommatoria di forze sparse e di teste che vanno ognuna per conto proprio.

Insomma, ogni volta è sempre la stessa scena. Ogni volta ci diciamo che non capiterà più, che faremo tesoro delle brutte esperienze che ci capitano, che ci attrezzeremo per tempo, ma puntualmente ricadiamo negli stessi errori. Fra qualche giorno tutto (sperabilmente) sarà finito e finiremo per dimenticare quel che è successo. In attesa della prossima occasione, che sia una primavera troppo piovosa, un’estate torrida o un’inverno troppo rigido. Siamo fatti così.

 

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