di Antonio Capitano

La Fondazione Rosselli ha da poco organizzato presso l’Accademia Nazionale dei Lincei il seminario “La Repubblica delle buone intenzioni” con Michel Maffesoli. Introdotto da Alberto Abruzzese (Università IULM di Milano), l’incontro costituisce il primo di una serie di appuntamenti (seminari, convegni, ricerche e pubblicazioni) che hanno come obiettivo la costruzione di un “Laboratorio sulle classi dirigenti”, nato dall’esigenza di individuare, discutere e ripensare i problemi inerenti alla formazione della classe dirigente, vista nelle sue specifiche relazionicon il mondo dei media e della comunicazione.

Con questo appuntamento s’intende aprire una serie di seminari dedicati alla questione, oggi sempre più emergente, della crisi delle classi dirigenti. In questo senso la Fondazione Rosselli è la sede ideale per questa prospettiva di studi e ricerca, che avrà al suo centro la rilevanza di un punto di vista mediologico molto polemico con i saperi storici e sociali.

L’intenzione è discutere e promuovere una riflessione sui contenuti e sugli strumenti più adatti alla formazione di un nuovo establishment.

La conferenza di Maffesoli – sociologo e filosofo molto attento ai nuovi scenari del presente – si presta ad inaugurare il progetto a partire dalla consapevolezza dei punti di maggiore crisi della tradizione moderna.

In questo quadro appare illuminante la posizione di Alberto Abbruzzese quando afferma: “Supponiamo che sia giunta la fine definitiva e irreversibile del luogo istituzionale in cui per vari secoli le società progredite hanno formato le proprie classi dirigenti affidando ad alcune specifiche discipline – definite umanistiche a partire da quelle classiche come l’etica – il compito di elaborare le forme di pensiero necessarie a governare i mutamenti e i conflitti del proprio tempo presente e di quello a venire”. E’ allora possibile, si chiede Abruzzese, “immaginarsi un processo innovativo – meglio dire divergente – che cerchi di uscire dal vuoto di tali istituzioni, dalla loro inefficienza culturale, trovando altri luoghi e altre modalità per fare una formazione che sia all’altezza della posta in gioco nelle attuali dinamiche di globalizzazione e localizzazione della vita umana?”. “La reputazione – prosegue Abruzzese – è il mutuo investimento di qualità che si realizzano nel vivo di processi relazionali; infatti il vivo delle relazioni può sempre revocare la fiducia in una comunità o gruppo che tenda a non rimettere continuamente in discussione la propria reputazione. Potremmo dire che qui la reputazione non è costruita da un pubblico, concepito in analogia al carattere astratto e ideologicamente universalista della ‘sfera pubblica’, ma nasce dentro una progressiva e volontaria coalizione di ‘privati’ che vedono una sorta di naturale antagonista nelle istituzioni della ‘sfera pubblica’ e nel dispositivo ostentativo di un ‘pubblico’. In quanto privata, questa sfera si attiva perché è radicalmente proprietaria (per ciascuno è proprietà di se stesso, del proprio investimento e dei risultati delle proprie relazioni) e appunto per questo è in grado di ricostituire quel senso di responsabilità che i processi di astrazione, e insieme di centralizzazione e divisione della società moderna hanno sempre più deteriorato, finendo per disgregare le basi su cui si sono originariamente fondate le classi dirigenti della rivoluzione borghese”.

Il problema della reputazione è da considerare il problema per eccellenza della formazione di una classe dirigente. Ecco perché la sfida della Fondazione Rosselli è così importante. Generare classe dirigente è fondamentale. E lo si può fare curando il malanno alla radice. Quella radice che a vent’anni da “Mani pulite” ha confermato la presenza di corruzione a tutti i livelli e dei mediocri che hanno scelto mediocri i quali, nell’insana palude del malaffare, hanno lasciato le buone intenzioni alla porta e non hanno mai aperto la finestra per cambiare l’aria.

 

 

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