di Michele Marchi

Riuscirà Napoleone Sarkozy a vincere la sua battaglia di Marengo, come si è chiesto di recente lo storico editorialista di «Libération» Alain Duhamel? Sarà in grado di tramutare, come fece Bonaparte il 14 luglio 1800, una sconfitta oramai certa in una clamorosa vittoria?

Se si osserva razionalmente il quadro politico transalpino le speranze del presidente uscente sono quasi nulle. I sondaggi sono costantemente negativi. Se al primo turno il vantaggio di Hollande si attesta attorno ai 2-3 punti percentuali, è al ballottaggio che la vittoria del candidato socialista assume proporzioni quasi mai viste nella storia della V Repubblica. L’ultimo sondaggio Ifop parla di 56% per Hollande e 44% per Sarkozy. Peggio era toccato solo a Poher nel 1969, sconfitto da Pompidou 59% a 41% e, naturalmente, a Le Pen contro Chirac nelle clamorose elezioni del 2002.

Ebbene è in questo quadro a tinte fosche che Sarkozy ha annunciato la sua decisione di candidarsi per un altro mandato. Lo ha fatto in diretta televisiva su TF1, il 15 febbraio, dopo aver rilasciato un’intervista a «Le Figaro Magazine», e prima di partecipare al primo grande incontro pubblico della campagna elettorale, domenica 19 febbraio a Marsiglia.

Bisogna innanzitutto ragionare sul timing dell’annuncio. A fine gennaio, nel corso di una lunga e un po’ noiosa diretta dall’Eliseo, Sarkozy aveva ribadito la sua intenzione di continuare a svolgere il suo ruolo di presidente sino all’ultimo giorno utile. In quell’occasione aveva molto insistito sull’immagine del “presidente protettore” di un Paese impegnato nell’affrontare la “tempesta economica”. Cosa ha spinto Sarkozy ad anticipare di circa un mese la sua ricandidatura? Da un lato hanno pesato le pressioni dei fedelissimi, almeno quanto quelle degli eletti UMP, i quali temono che alla sconfitta presidenziale segua un tracollo del partito alle legislative. Insomma l’urgenza di mobilitare le proprie truppe ha accelerato i tempi. Dall’altro lato ha pesato non poco il consolidarsi quotidiano dell’idea che Hollande sia già una sorta di presidente in pectore. Il Paese sta finendo per abituarsi a questa immagine, Sarkozy se ne è reso conto e ha agito di conseguenza. Infine i primi timidi segnali di ripresa dell’area euro hanno convinto lo stesso presidente che quello della crisi sarà solo uno dei temi della campagna e peraltro nemmeno di quelli così mobilitanti. Parlare di questioni prettamente tecniche come l’economia può, al contrario, tramutarsi in un’arma a doppio taglio nell’imminenza del voto.

Dunque la lunga intervista a «Le Figaro Magazine» è stata una sorta di anticipazione ragionata e programmatica della dichiarazione di candidatura, giunta pochi giorni dopo. Nell’intervista erano condensati i contenuti e la strategia perlomeno di questa prima parte di campagna elettorale. Sarkozy ha scelto: si giocherà questo avvio ancora una volta sul tema dei valori e della bipolarizzazione del dibattito, lungo il classico clivage destra-sinistra. “Lavoro, responsabilità, autorità”, parole chiave della campagna 2007, tornano ad essere pronunciate da Sarkozy. E insieme a questo trittico, vincente cinque anni fa, ecco riapparire la questione identitaria, declinata sul tema dell’immigrazione. L’obiettivo del presidente è sin troppo evidente: rassembler la destra classica, andare a caccia di voti nelle terre della destra frontista e convincere almeno una quota di indecisi (ad oggi ancora circa 1/3 dell’elettorato). Nel descrivere i “suoi valori per la Francia” Sarkozy è tornato a presentarsi come il candidato volontarista del 2007, con un primo ed evidente problema: l’attuale candidato è anche presidente uscente e dunque dovrebbe presentare un bilancio dei cinque anni passati. I molti silenzi uniti ai parecchi “non abbiamo fatto abbastanza”, finiscono per erodere proprio dall’interno una parte del suo attivismo.

In parte parlando a «Le Figaro Magazine», ma ancora più chiaramente nel primo grande meeting da candidato, Sarkozy ha voluto aggiungere qualcosa alla mera riproposizione dell’immagine del 2007. Paventando l’ipotesi di futuri referendum e insistendo sul suo legame quasi “carnale” con il Paese (quell’amour de la France più volte evocato in un discorso ricco di lirismo, nel quale ha pronunciato la parola France oltre settanta volte), Sarkozy ha senza dubbio rievocato in maniera chiara la figura di Charles de Gaulle. Quasi a voler dire che in tempi eccezionali, servono leader eccezionali (e non il candidato normale Hollande…). Tutto ciò però comporta alcuni rischi.

Bisogna fare molta attenzione all’utilizzo del cosiddetto appello al popolo. Come è noto la Costituzione della Quinta Repubblica attribuisce al presidente il potere di interrogare direttamente l’elettorato su questioni di chiara rilevanza nazionale. Se si escludono però proprio i “tempi eccezionali” della fase 1958-1962 (crisi algerina e transizione istituzionale) il referendum si è sempre rivelato un’arma a doppio taglio per i presidenti in carica. Quasi sin da subito l’appello al popolo si è tramutato in un giudizio politico nei confronti di chi l’aveva proposto. Come non ricordare quello del 1969, che causò il ritiro dalla politica proprio di de Gaulle, quello del 1992 su Maastricht, che rischiò di far terminare anzitempo il secondo mandato di Mitterrand o quello catastrofico del 2005, più un “no” a Chirac, che un voto contro il Trattato costituzionale europeo. Proporre, come ha fatto Sarkozy, di sottoporre a referendum questioni relative all’immigrazione o ai sussidi di disoccupazione sembra presentare un doppio rischio: difficoltà nel declinare l’alternativa sì/no unita all’ulteriore rischio di sollecitare il popolo su temi così divisivi. E’ evidente che la scelta di Sarkozy in questa fase è quella di cercare di sfruttare il discorso del legame diretto con il popolo, al di là della mediazione dei partiti e in funzione anti-elitaria. Nell’odierna congiuntura di crisi economica la tradizione “leghista” e “anti-parlamentare” francese potrebbe senza dubbio riemergere.

Come si concilia però, ecco il secondo rischio, questo richiamo al gollismo storico con la proposta, avanzata a Marsiglia in maniera velata, ma comunque evidente, di introduzione di una quota di proporzionale, per permettere la rappresentanza parlamentare a quelle forze politiche penalizzate dall’attuale maggioritario a doppio turno? Anche in questo caso Sarkozy ripropone un tema del 2007 (poi ben presto lasciato cadere una volta eletto) alla ricerca del voto frontista, centrista ed ecologista. Il risultato al momento è però una discreta confusione.

Quello che è certo è che le prossime due settimane saranno decisive. Una volta sceso nell’agone il presidente dovrebbe ottenere una ripartenza nei sondaggi. Se ai primi di marzo non sarà riuscito a raggiungere Hollande nelle intenzioni di voto, almeno al primo turno, grazie a questa sua strategia di attacco a destra, le possibilità di rielezione saranno davvero poche. Anche perché a quel punto dovrà cominciare la fase due, quella dell’allargamento al centro. Sarkozy dovrà parlare di crisi e di Europa, dovrà inseguire l’elettorato centrista, umanista ed europeista. E in quel caso l’appello al popolo dovrà essere messo in soffitta. E soprattutto, proprio in quella porzione di elettorato, egli dovrà capire se esiste margine di recupero al ballottaggio. Insomma dove non dovrebbe essere forte la voglia di sinistra, dovrà andare a verificare quanto è solido l’antisarkozismo, per tentare di scardinarlo.

Le probabilità che da qui a due mesi si riviva un’altra Marengo non sembrano insomma così alte. Ma chissà che un generale Desaix del XXI secolo non giunga a salvare e portare in trionfo il candidato-presidente…

 

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