di Giuseppe Balistreri*
L’Italia si trova oggi di fronte ad un imperativo storico inderogabile (e questo è anche un grido d’allarme): uscire dalla II Repubblica.
Eppure, a parte alcuni notisti politici come Galli della Loggia, nessuno sembra avvertirne l’urgenza. Si è aperto, pur meritoriamente, il dibattito sulla riforma elettorale, come se il governo dei tecnici non abbia di fatto sancito ormai irreversibilmente la fine della II Repubblica.
Nessuno infatti, che abbia a cuore le sorti dell’Italia, può seriamente pensare che, quando i tecnici avranno terminato quello “sporco lavoro” a cui i politici non hanno saputo e voluto porre mano, si potrà di nuovo ritornare come prima, con gli stessi partiti e con gli stessi attori (a parte qualche inevitabile riaggiustamento) che hanno dominato fin qui la scena pubblica italiana. Sarebbe una coazione a ripetere che ci costerebbe molto caro, oltre che il ritorno di un incubo.
Come la I Repubblica, anche la II, seppur diversamente, ha mostrato di avere dei vizi di fondo che inesorabilmente dovevano portarla al fallimento. Intanto, la II Repubblica ha dovuto muoversi dentro quel quadro istituzionale ereditato dalla I Repubblica, che non poteva più essere confacente alla nuova situazione. Diamogli atto comunque che, oltre ad essere un impedimento, esso ha anche saputo fare da scudo per la difesa della democrazia nel nostro Paese.
Ma il difetto più grande sta proprio nello specifico della II Repubblica, e cioè proprio nel suo nuovo sistema dei partiti, così diverso da quello dominante nella I Repubblica. Un imperativo del nuovo sistema dei partiti è quello di muoversi secondo una logica bipolare. Ma siccome, mentre i poli possono essere solo due, ed i partiti invece molto più di due, e poiché in Italia le differenze dei singoli e molteplici partiti sono molto accentuate, allora questo comporta che i partiti, per aggregarsi in due poli, devono procedere ad alleanze spurie tra di loro. La conseguenza è che le coalizioni saranno contrassegnate da interna conflittualità, la quale a sua volta renderà impossibile l’attuazione di un coerente programma di governo. Il governo starà sempre sul chi vive e praticamente la maggioranza sarà costretta a subire l’arma della deterrenza da parte dei suoi stessi alleati di governo (a volte da parte di infimi partitini, senza il cui voto però la maggioranza non potrebbe essere maggioritaria). In questa situazione, l’obiettivo primario del governo sarà soltanto quello di mantenersi in carica, mettendo così da parte ogni velleità di guidare seriamente il Paese ed anzi consegnandosi alle varie consorterie e comitati d’affari che, nel vuoto di potere, trovano l’humus adatto per crescere e moltiplicarsi.
Questo è quanto accaduto con la II repubblica e vi si possono riconoscere tanto l’esperienza dell’Ulivo quanto quella del centro-destra. La II Repubblica quindi trova dei limiti costitutivi nel modo stesso in cui si formano le coalizioni e nel tipo stesso di coalizioni a cui i partiti sono costretti a dare vita. Le coalizioni tanto di destra quanto di sinistra sono troppo eterogenee per poter dare vita a programmi coerenti e ad una incisiva azione di governo. In un caso, come quello del Pd, l’eterogeneità è già un vizio interno dello stesso partito, che con il suo bisogno di andare a grandi alleanze in tutte le direzioni, porta anche all’esterno questo difetto, mostrando una incoercibile tendenza all’ammucchiata. Nell’altro caso, quello del centrodestra, ci troviamo a che fare con un partito – la Lega – che è eterogeneo a tutto, e non si vede come possa entrare in coalizione con altri partiti, a meno che questi non abbiamo come unico scopo la conquista del potere ed il perseguimento di obiettivi non propriamente politici. Non funzionale ad una logica bipolare è poi la presenza di partiti di centro come quello di Casini e del terzo polo (nuova forzatura geometrica dopo quella delle convergenze parallele), posizione invero a cui sono stati costretti dalla presenza a destra di un partito padronale come quello di Berlusconi e dalla sua alleanza opportunistica con Lega.
A complicare la situazione troviamo poi il radicalismo di Di Pietro e Vendola, scarsamente componibile con la moderazione del Pd, e il cui unico scopo sembra essere quello di accentuare la conflittualità sociale, senza preoccuparsi delle esigenze di compatibilità e di equilibrio del sistema nel suo insieme.
Se poi si guarda ancora agli scandali da basso impero, alla perdita di credibilità internazionale dell’Italia, ai conflitti istituzionali tra i vari corpi dello Stato, al degrado dell’amministrazione pubblica, e molto altro ancora, non si vede proprio che cosa si possa ancora salvare della II Repubblica. È stato un esperimento d’obbligo, partito male e finito peggio. I partiti che ne sono stati gli artefici, devono sprofondare con essa. I cittadini elettori ne stanno pagando il conto come contribuenti.
Ed ora? Forse non tutti ci rendiamo conto della gravità della situazione e si fanno progetti di ritorno allo status quo ante come se niente fosse avvenuto e come se per questo Paese non ci fosse nulla da fare, se non subire inesorabilmente la sua sorte.
Ma uscire dalla II Repubblica si può. L’invito che qui faccio è il seguente: tiriamo fuori delle proposte. La mia è in breve è la seguente: passare dal bipolarismo al bipartitismo. Articolerò la proposta in un prossimo articolo.
* Membro dell’Istituto di Politica
Commento (1)
Simone Ros
Ma sarebbe troppo estremo sostenere (come fa qualcuno) che la Seconda Repubblica non è mai davvero nata? Insomma, se volessimo tagliare le cose con l’accetta: una fetta consistente dei personaggi della Prima è stata riciclata virtuosamente nella Seconda e dalle loro “antiche appartenenze” è impossibile prescindere. Le categorie utilizzate in questi vent’anni sono impregnate di Prima Repubblica: l'”anticomunismo” propagandistico di Berlusconi, l’eredità missina nella vecchia AN, il giustizialismo alla Mani Pulite incarnato dal partito di Di Pietro, il “democristianesimo” elegante e felpato di Casini. Per quanto riguarda la proposta bipartitica sono curioso: i cronici e ormai leggendari “mal di pancia” del Pd e il futuro incerto del Pdl non fanno ben sperare. E il terzo polo? Vogliamo dargli qualche chance o verrà inghiottito dalla solita logica dell'”un contro l’altro armati” di manzoniana memoria?