di Fabio Massimo Nicosia

Gli avversari istituzionali di quello che loro chiamano il neo-liberismo, i Vendola, i Ferrero, i Sansonetti, dicono che la loro avversità al mercato deriva dal fatto che in esso verrebbero premiati i più forti.

Questa affermazione merita una disamina critica.

Anzitutto, quello che loro chiamano neo-liberismo non ha nulla a che vedere con un vero libero mercato: il neo-liberismo viene infatti attribuito a strutture burocratiche come le banche centrali, il Fondo Monetario Internazionale, il WTO, i vari G8 e G20, che sono tutte strutture stataliste o di derivazione statalista, e non troverebbero luogo in un autentico libero mercato. Di tal che se i no-global combattono siffatte istituzioni, essi fanno del liberismo inconsapevole, e se è inconsapevole è per imperdonabile ignoranza.

Gli avversari del cosiddetto neo-liberismo, che, ripetiamo, non è liberismo, non si chiedono invece in che modo sia lo Stato a premiare i forti, anche con le dinamiche guidate dello stesso “neo-liberismo” truccato.

Lo Stato, come diceva Bastiat, è la grande finzione attraverso la quale tutti pensano di poter vivere alle spalle di tutti.

I “forti di Stato”, quindi, sono di una categoria particolare, quella di chi sa porsi dietro lo Stato per manovrarne le leve e trarne profitto. Poi qualche volta costoro si ricordano delle categorie deboli, al fine di acquisire il consenso popolare, abbinando, alla spoliazione che effettuano, un po’ di welfare, spesso inefficiente, a vantaggio degli altri, sia pure per categorie e non in modo universale, come sarebbe il caso di un reddito di cittadinanza uguale per tutti.

Lo Stato indica dunque a questi cosiddetti “forti”, che spesso non sono altro che i “furbi”, i luoghi ai quali far riferimento, e dove alloggiare per trarne profitto, ossia le varie caste e istituzioni, che attirano i “forti” come le mosche il miele.

Ma, chiediamoci, che cosa avverrebbe, di contro, in un libero mercato imperturbato? Anzitutto le minoranze non sarebbero private del diritto di seguire le proprie preferenze, non dovendo, come diceva Jefferson, il 49% inchinarsi toto corde ai desiderata del 51%. Ciò non toglie, peraltro, che i meriti verrebbero premiati e, come diceva Kropotkin, il principe anarchico, esistono uomini che hanno bisogni più alti ed elevati rispetto agli altri.

Sotto lo Stato questi uomini, i meritevoli, vengono penalizzati dal dominio dei mediocri e dei burocrati (questi i “forti” nello Stato), mentre nel mercato potrebbero far valere la loro forza autentica, acquisendo consenso e reputazione.

Il fatto è che nel mercato anarchico ognuno viene stimato per quel che è, e se si formano gerarchie fondate sull’autorevolezza e il consenso, si tratta di gerarchie fluide, sempre ricontrattate all’interno della gerarchia, che non sarebbe cristallizzata, ma in perpetuo movimento sulla linea del caos.

E allora ammettiamo pure che l’anarchia sia una sorta particolare di dottrina elitista, in cui gli individui più capaci riescono a trovare l’espressione più piena delle propria individualità.

Il che non avviene certo nello Stato, in cui i premiati sono, non i forti, ma i prepotenti.

Commenti (3)

  • A.V.
    A.V.
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    Una domanda forse off-topic: a me pare che la ragione piu solida in favore dell’esistenza di uno Stato, è il monopolio della forza. Lei è d’accordo o no? Se no, perché e quale sarebbe una valida alternativa?

    Grazie

  • Fabio Massimo Nicosia
    Fabio Massimo Nicosia
    Rispondi

    Non sono d’accordo proprio perchè sono contro i monopoli e a favore della libera concorrenza in ogni campo, compreso quello della produzione della sicurezza, come diceva de Molinari non 1848, della creazione del diritto e della realizzazione dei beni pubblici.
    Sono per estendere il libero mercato a tutte queste attività, perchè il monopolio è sempre comunque inefficiente rispetto alla concorrenza, persino con riferimento a beni considerati, tralaticiamente, indivisibili.

  • Fabio Massimo Nicosia
    Fabio Massimo Nicosia
    Rispondi

    In altre parole, non esistono monopoli “naturali”.

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