di Giuliano Gioberti
Si continua a parlare di esagerazioni, di sparate senza senso e di volgarità tanto gratuite quanto in fondo innocue. Ci si appella, da qualche tempo, allo stato di salute di un leader che dopo la malattia che l’ha colpito sembra aver perso di lucidità e controllo. In realtà, il linguaggio sovente violento, aggressivo e crudo della Lega – in particolare quello utilizzato da Umberto Bossi sin dagli albori della sua carriera – non ha nulla di casuale o d’improvvisato; non può essere ridotto a folclore o a semplice provocazione, e nemmeno può essere considerato un modo di esprimersi, magari rozzo, ma a suo modo efficacemente diretto e sanamente popolare.
Ed è proprio questo l’errore compiuto nel corso degli anni da molti osservatori ed esponenti politici: aver scambiato per un incidente di percorso o una momentanea caduta di stile, per un discutibile vezzo o per un segno di cattiva educazione personale, l’uso di termini, espressioni, concetti, formule e slogan che in realtà hanno sempre risposto, anche quando sono apparsi dettati da un eccesso di irruenza individuale o da qualche momentanea convenienza propagandistica, ad una precisa e a suo modo coerente logica politico-strategica.
Insomma, dietro il radicalismo verbale del Carroccio e dei suoi uomini non c’è solo la schiettezza del politico che vuole farsi capire anche dall’ultimo degli elettori o una tecnica di marketing tanto raffinata quanto subdola: ci sono anche, anzi soprattutto, una cultura politica, una mentalità, uno stile d’azione e, in particolare, la capacità di calcolare sempre il proprio interesse immediato e di orientare le proprie scelte esclusivamente a partire da quest’ultimo. Si tratta dunque di un linguaggio che va sempre considerato nelle sue radici, nelle sue valenze e nelle sue implicazioni politiche.
Prendiamo, ad esempio, l’ultima uscita del capo del Carroccio, che tanto clamore e polemiche ha suscitato: “Monti rischia la vita, se continua così il Nord lo farà fuori”. Sono parse parole talmente minacciose e fuori luogo da aver costretto chi le ha pronunciate ad una goffa correzione: chi rischia la vita, in realtà, sarebbe il Nord a causa della politica economica rapinatrice portata avanti dall’attuale governo tecnico. Dall’entourage di Bossi ci si è scagliati contro i giornalisti (che come al solito avrebbero capito male) o ci si è attaccati ad una spiegazione ridicola: i leghisti, colpevolmente oscurati dai mezzi d’informazione, per far sentire la propria voce sono ormai costretti ad alzare sempre più il tiro.
In realtà, ancora una volta, non si tratta di frasi sfuggite dal senno o dettate alla stampa in modo improvvido. E nemmeno della strizzata d’occhio al proprio elettorato da parte della sola forza che in Parlamento si oppone senza riserve al governo dei tecnici e che dunque spera di capitalizzare alle urne questa sua posizione. Ma di una dichiarazione, certamente brutale, che nasce da un ragionamento politico e, nel caso specifico, da una preoccupazione che da settimane agita il Carroccio.
Monti e il suo esecutivo – Bossi lo ha chiaro – hanno poco a che vedere con Roma ladrona. Hanno, al contrario, una marcata caratura nordista: non tanto per la provenienza (anche professionale) di molti dei suoi più illustri esponenti (Monti stesso, Passera, Ornaghi, Fornero), quanto per lo stile che incarnano (una sobrietà che sembrerebbe richiamare quella dell’antica borghesia lombarda o piemontese, un rigore e un’applicazione nel lavoro che ricordano l’etica ugonotta tanto cara al Gianfranco Miglio leghista), per le politiche riformatrici che hanno messo in atto (dal fisco al mercato del lavoro), per l’attenzione che portano allo sviluppo industriale e all’ammodernamento infrastrutturale (temi assai sentito al Nord), per la lotta senza quartiere che hanno dichiarato all’evasione (che i leghisti hanno sempre detto annidarsi in prevalenza al Sud), per la nessuna indulgenza o attenzione (a seconda dei punti di vista) che hanno sinora dimostrato verso il Mezzogiorno e i suoi specifici problemi.
Un governo così – pragmatico, fattivo, serio, attento a come si spendono i soldi pubblici, poco incline ai favoritismi, proiettato verso l’Europa più che verso il Mediterraneo – sembra fatto apposta per togliere alla Lega molti dei suoi argomenti polemici e, in prospettiva, dei suoi consensi. I milioni di padani pronti a impugnare lo schioppo o il forcone per creare con la forza la Repubblica del Nord esistono solo nella testa di Bossi; e se esistono davvero sono quelli, una piccola minoranza, che partecipano ai raduni leghisti travestiti da vichingo.
Il Nord che in questi anni ha votato Lega per protesta nei confronti del centralismo romano e delle sue inefficienze è composto, specie nelle aree urbano-industriali e a più alto tasso di sviluppo socio-economico, da cittadini italiani che allo Stato chiedono, in cambio delle tasse che pagano, efficienza tecnica e corretta amministrazione, infrastrutture e servizi. Il loro problema non è parlare dialetto in pubblico, sognare quando la nazionale padana vincerà la Coppa del Mondo dei Popoli Oppressi o difendere la cucina tipica settentrionale dalla minaccia mortale del cous-cous. Stiamo parlando di gente a sua volta pragmatica e dedita al lavoro, che dalla politica si aspetta risultati e non promesse (foss’anche il sol dell’avvenire della Padania libera e indipendente).
Il pericolo che Bossi ha realmente intravisto nel governo Monti, dunq ue, non è tanto la minaccia di quest’ultimo alla sovranità popolare e alla democrazia, o il fatto di essere espressione di poteri forti estranei agli interessi autentici del popolo, quanto il suo incarnare aspettative e modi di fare molto radicati nell’elettorato settentrionale (compreso quello leghista meno ideologizzato) e nel quale quest’ultimo potrebbe sempre più riconoscersi.
Da qui l’ennesima sparata del leader leghista, ancora più infelice ed esagerata delle molte che ha fatto in passato. Il suo augurio è che il Nord faccia fuori Monti. Il rischio per lui è che il Nord, insofferente dei proclami ideologici e desideroso di concretezza, si stanchi quanto prima anche della Lega (da ieri lambita a sua volta da pesanti sospetti di malaffare e corruzione) e le revochi i vasti consensi che le ha sin qui regalato.
Commento (1)
Simone Ros
verissimo…quanti al Nord votano e hanno votato Lega non per liberare la Padania dal giogo di Roma quanto perchè percepivano questo partito “anomalo” (pur sempre il più vecchio della Seconda Repubblica) come l’unico ricettivo alle istanze dal basso e disposto a “sporcarsi le mani” parlando direttamente alla “gente”…Generalizzazioni certo, ma efficaci