di Alia K. Nardini
Prosegue la serie di vittorie collezionate da Mitt Romney nelle primarie statunitensi. Dopo aver momentaneamente ceduto il passo a Rick Santorum, che lo scorso 24 marzo aveva stravinto in Louisiana con il 49% dei voti, Romney riprende la corsa verso la nomination con un’altra tripletta: Maryland, Wisconsin e “il Distretto”, come viene confidenzialmente chiamato il District of Columbia, lo stato della capitale Washington. Seppure i sondaggi dessero già Romney vincente in Maryland e D.C. (dove l’ex Governatore del Massachusetts infatti si è assicurato la maggioranza con rispettivamente il 49,1% e il 70,2% delle preferenze), i risultati erano comunque attesissimi. La sfida è stata particolarmente combattuta in Wisconsin, dove Romney ha conquistato il 42,5% dei voti, seguito da Santorum con il 37,6%.
Ora Romney ha ufficialmente 652 delegati, mentre Santorum è a quota 269, secondo Realclearpolitics (i dati variano leggermente a seconda delle fonti: il New York Times ne assegna 655 contro 278). Meno netto è il divario in termini di preferenze, dove circa 4 milioni e mezzo di americani hanno scelto Romney, mentre poco più di 3 milioni hanno sostenuto Santorum. Sebbene a questo punto una rimonta di Santorum sembri sempre meno probabile, l’ex Senatore della Pennsylvania non intende però ritirare la propria candidatura fino alla convention nazionale di Tampa. Nemmeno gli altri due sfidanti, Newt Gingrich e Ron Paul, hanno conseguito risultati che possano impensierire il front runner; ma anch’essi si dichiarano determinati a non abbandonare la gara.
A questo punto, le primarie entrano in una nuova fase. Romney, con la nomination a portata di mano, interloquisce con il Presidente in carica come se si trattasse già di una sfida ufficiale, tentando di ignorare i rivali di partito. Ciò nonostante, per l’ex Governatore del Massachusetts ogni giorno passato in competizione con gli avversari Repubblicani è un giorno perso, che potrebbe invece impiegare per costruire autorevolmente una solida opposizione a Barack Obama. Allo stesso tempo, emerge la consapevolezza tra i conservatori che la data delle elezioni nazionali, si sta rapidamente avvicinando.
Aumentano dunque le pressioni affinché quella che appare sempre più come una competizione già conclusasi lasci spazio alla campagna presidenziale vera e propria. Proprio nell’ottica di accelerare il passo per concentrarsi sulla “politica della coalescenza” (ovvero far convergere sempre più consensi sul candidato che rappresenterà il Grand Old Party nel confronto di novembre con il Presidente Democratico), giungono all’ex Governatore del Massachusetts gli endorsement di Jeb Bush, ex Governatore della Florida; del brillante Senatore Marco Rubio; e dell’influente presidente della commissione bilancio alla Camera Paul Ryan, autore della più recente proposta di budget che ha fatto discutere l’America e che ha scelto di accompagnare Romney durante la campagna in Wisconsin. Anche il popolare Senatore della South Carolina Jim DeMint ha ribadito che arrivare alla convention di agosto senza un candidato sicuro sarebbe un grave errore per i Repubblicani. DeMint ha aggiunto che, poiché Romney rappresenta una valida scelta, i restanti aspiranti dovrebbero valutare il corso d’azione più appropriato (implicitamente, la possibilità di un ritiro), per il bene del paese.
A Santorum non resta che cercare di mantenere visibilità, concentrando l’attenzione dei media verso la sua figura e le sue proposte politiche per non cadere nell’oblio, come già tanti prima di lui. E ancor più deve tentare di non apparire come un seccatore inopportuno, che sabota la strategia del partito per le elezioni di novembre, impedendo alla base grassroots del partito di convergere intorno alla candidatura di Romney. Ma se Santorum crede ancora in una rimonta, il prossimo appuntamento elettorale diviene per lui fondamentale.
Il 24 aprile si vota in Pennsylvania, Connecticut, New York, Delaware e Rhode Island, per un totale di 231 delegati. Romney è dato per favorito in tutte le sfide, tranne che in Pennsylvania, dove comunque il margine è stretto (dai 2 ai 6 punti di distacco). Santorum deve assolutamente assicurarsi la vittoria nel suo stato natale, il Keystone state (lo stato “chiave di volta” – mai soprannome è stato più appropriato): conquistare la Pennsylvania difatti non solo potrebbe rilanciare la candidatura di Santorum in vista degli appuntamenti delle prossime settimane, specialmente in North Carolina, West Virginia, Arkansas, Kentucky e Texas – stati che ricordano quelli in cui l’ex Senatore ha già vinto, per composizione dell’elettorato e logiche valoriali. Ma anche perché, se fosse Romney ad aggiudicarsi lo stato di Santorum, la corsa Repubblicana alla nomination potrebbe dichiararsi a buon diritto conclusa: nessun candidato può permettersi di aspirare alla nomination, se non può contare sull’appoggio dei suoi stessi concittadini.
Questa, beninteso, non è necessariamente una cattiva notizia per il Grand Old Party: con una vittoria di Romney a tutto campo il 24 aprile, i Repubblicani potrebbero finalmente organizzarsi per affrontare la campagna elettorale vera e propria, campagna in cui Obama detiene già un certo margine di vantaggio.
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