di Stefano Pelaggi*

A trent’anni dal conflitto delle Falkland/Malvinas una nuova soluzione sulla questione della sovranità nell’arcipelago sudamericano è ancora lontana.

La spedizione della nave da guerra HMS Dauntless, la protesta argentina alle Nazioni Unite sulla presunta presenza nelle acque circostanti di un sottomarino nucleare britannico, le provocatorie dichiarazioni del presidente venezuelano Chavez dirette al governo di Londra sulla necessità di restituire le Malvinas all’Argentina e le dichiarazioni di Cristina Kirchner a cui sono seguiti i violenti scontri davanti all’ambasciata del Regno Unito sono gli ultimi episodi della lunga contesa.

Intanto gli Stati Uniti hanno riconosciuto l’amministrazione britannica sull’arcipelago ma con le parole del Dipartimento di Stato “non hanno preso posizione sulla sovranità delle isole”. Una dichiarazione che Nile Gardiner, corrispondente da Washington del Telegraph, ha definito una coltellata alla schiena al Regno Unito da parte dell’amministrazione Obama. Certo, il comportamento dello storico alleato americano ha destato preoccupazione a Londra, ma soprattutto tra i paesi amici latino-americani, Colombia in primis. La Kirchner ha già trovato il supporto di altre nazioni dell’area per una interdizione alle navi con bandiera delle Falkland o provenienti dall’arcipelago, e per una restrizione dei voli aerei. La contesa sembra una propaggine della tensione che aleggia sul continente dove molti Stati stanno aumentando considerevolmente il potenziale bellico, Brasile e Cile su tutti, in un momento in cui la scoperta di nuovi giacimenti offshore accrescerà la potenza di molte nazioni emergenti.

Né la scelta di Washington, né le minacce venezuelane di schierare l’esercito al fianco dell’Argentina sposteranno il baricentro della questione; ma nei prossimi tempi qualcosa potrà cambiare nella gestione del conteso arcipelago. I giacimenti sottomarini, abbondanti intorno alle isole, negli ultimi anni sono diventati più redditizi grazie alle nuove tecniche estrattive e all’aumento esponenziale del prezzo degli idrocarburi. Le acque intorno alle Falkland sono sotto la giurisdizione di Londra; ma un eventuale intensità della presenza di piattaforme britanniche e un traffico navale incrementato dovranno confrontarsi con le continue rivendicazioni argentine.

La questione delle Malvinas rappresenta ancora una ferita aperta per l’Argentina; gli studi storici nazionali hanno affrontato la questione capovolgendo l’interpretazione del conflitto come un gesto irresponsabile voluto da un regime senza appoggio popolare. Le rappresentazione storiografiche, ma soprattutto mediatiche, in Argentina hanno abbandonato la figura del soldato come una vittima giovane e senza esperienza immolato dalla giunta militare nelle isole Malvinas, per presentare casi di eroismo e di dedizione alla patria. Nell’ultimo decennio l’opinione pubblica ha avviato un processo di riappropriazione del conflitto e nei testi scolastici si trovano frequenti riferimenti alle ragioni dell’appartenenza dell’arcipelago alla nazione sudamericana. Difficilmente si giungerà ad una amministrazione congiunta dell’arcipelago, come spera Buenos Aires, ma la partita delle Falkland giocherà una parte importante nel futuro del continente.

Tutti gli analisti sono concordi nel giudicare molto remota la possibilità di un intervento militare argentino, ma alcuni storici hanno ricordato come le stesse previsioni furono fatte appena pochi giorni prima del conflitto nel 1982. Anche la recente, drastica riduzione della spesa militare britannica e l’inasprimento dei toni di Buenos Aires non hanno generato un vero e proprio allarme per una escalation bellica. La contesa costituirà, piuttosto, un importante tassello nella situazione politica sudamericana che Raffaele Nocera descrive come quella di “un’area in cui i paesi sono fortemente restii a cooperare o, al contrario, sono disponibili a dialogare ma a patto di avere le pistole cariche e di poter scardinare ad ogni occasione disponibile gli equilibri di potere”. Soprattutto è un buon argomento per ogni campagna elettorale a Buenos Aires; in un paese che dopo alcune coraggiose scelte in campo economico non sembra ancora aver trovato una stabilità interna e soffre, per la prima volta, lo strapotere economico delle altre nazioni dell’America Latina.

*Dottorando in Storia d’Europa presso la Sapienza Università e redattore de L’Italiano e di Geopolitica.info.

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