di Alia K. Nardini
Da Gettysburg, Pennsylvania, tappa storica della guerra civile statunitense, è arrivata martedì la dichiarazione di Rick Santorum: circondato dalla famiglia, il giovane e carismatico ex senatore ha annunciato la fine della propria corsa per la nomination, specificando tuttavia che non intende abbandonare l’impegno politico a favore delle cause che più gli stanno a cuore, e che farà di tutto per sostenere il proprio partito e aiutarlo a sconfiggere Barack Obama.
Santorum è rimasto in gara per molto più tempo di quanto i commentatori politici siano stati in grado di prevedere, ottenendo risultati apprezzabili quanto inaspettati. I suoi successi entusiasmanti, dal riconteggio dei voti dell’Iowa alla tripletta a sorpresa in Colorado, Minnesota e Missouri, hanno logorato i nervi dello staff elettorale di Romney e forzato i suoi avversari ad investire tempo e denaro oltre misura nella campagna elettorale. Seppure ora la vittoria di Romney sia pressoché garantita, Santorum ha di certo reso appassionante quella che passerà alla storia come una delle sfide più combattute per la nomination nel Partito Repubblicano statunitense.
L’ex senatore della Pennsylvania è riuscito a conquistare ben 11 stati, contro i 19 ottenuti ad oggi da Romney; e ha raggiunto oltre 3 milioni e 200mila preferenze, rispetto ai 4 milioni e mezzo di voti registrati dall’ex Governatore del Massachusetts. Impressionante è anche il conteggio delle contee: secondo un sondaggio dell’università del Minnesota, si sono schierate a favore di Santorum ben il doppio delle counties (902) rispetto a Romney (411), più di quelle di tutti gli sfidanti insieme (788). Questo si traduce in una maggioranza per Santorum (il 54,1%, per l’esattezza) che, seppur ininfluente per la nomination, riconferma la forza dell’ex senatore della Pennsylvania nelle aree rurali e la notevole capacità nel mobilitare il conservatorismo tradizionale sul territorio in modo capillare. Suscitare entusiasmo nelle basi grassroots del partito: proprio la caratteristica che a Romney è sempre mancata, ed ancora oggi manca.
Seppur dichiaratosi sicuro della vittoria in Pennsylvania, Santorum era in realtà sempre più in difficoltà secondo i sondaggi; ed ancora non erano partiti gli spot denigratori costruiti ad arte dalla squadra di Romney, in occasione del prossimo appuntamento elettorale del 24 aprile. Ciò nonostante, nemmeno una vittoria nel suo stato natale avrebbe cambiato le carte in tavola per l’ex Senatore della Pennsylvania: senza la possibilità di convincere Newt Gingrich a farsi da parte, i delegati di Santorum non sarebbero mai potuti essere sufficienti a mettere seriamente in discussione il primato di Romney. Santorum non avrebbe nemmeno avuto le risorse per competere con l’ex Governatore del Massachusetts in occasione di sfide multiple, come sarebbe accaduto per l’appunto con il voto del 24 aprile, in ben cinque stati; né per condurre una campagna elettorale efficace in ambiti complessi e relativamente moderati, come ad esempio la California, in calendario tra meno di due mesi, il 5 giugno.
Tutte queste considerazioni, insieme al precario stato di salute della figlia Bella, affetta sin dalla nascita da una rara malattia genetica, hanno fatto optare Santorum per il ritiro. La famiglia, per la quale ha dichiarato di voler essere prima di tutto un padre presente, è la prima ragione citata in conferenza stampa per l’interruzione della propria campagna; tuttavia, i pettegolezzi affermano che la malattia della figlia sia soltanto un’utile coincidenza. In realtà, le lacrime della moglie Karen quando Santorum parla di Bella “che ancora e sempre combatte”, e i ragazzi che si guardano negli occhi commossi ed orgogliosi stringendosi intorno al padre, dimostrano che l’ex senatore della Pennsylvania è sincero. Ed è proprio questo ciò che molti non hanno compreso, quello che fino ad oggi ha decretato la popolarità di Rick Santorum: quel credere fermamente nei valori tradizionali, declassati dalla sinistra liberal come convinzioni retrograde frutto di un moralismo religioso e retrivo, ma nei quali l’ex senatore ha genuinamente fede, e per i quali è certo sia giusto lottare, nella vita privata come in politica. Se pur si tratti di uno scenario costruito ad arte, è innegabile il trasporto e il vero sentimento che traspare dagli occhi di Rick Santorum.
Dunque ora il Partito Repubblicano si ricompatterà intorno a Romney. Tuttavia i conservatori tradizionalisti, che in passato hanno visto il loro candidato trionfare ufficialmente solo con Barry Goldwater e Ronald Reagan (per andare poi a vincere la presidenza solo nel secondo caso), si sentono truffati. Quel miliardario così efficiente, così moderato, così maledettamente simile ai businessmen di Wall Street, proprio non riescono a mandarlo giù. A malincuore si schiereranno con Romney, per tentare di battere Obama; ma l’entusiasmo proprio non c’è.
Lo staff di Rick Santorum d’altronde ha dichiarato che si incontrerà presto con il candidato oramai ufficiale dei Repubblicani, per discutere della “strategia di partito” – ovvero di un eventuale endorsement. Tuttavia, è innegabile che in queste primarie ha vinto la campagna negativa (definirla diffamatoria sarebbe forse eccessivo) dell’ex Governatore del Massachusetts, che ha fatto cadere uno sfidante dopo l’altro con abili manovre politiche e acrobazie mediatiche che l’ingente disponibilità economica ha facilitato e reso possibili. I commentatori politici dicono che tutto questo avvantaggerà Obama, che ora Romney sarà un facile bersaglio per il Presidente in carica, il quale potrà attaccarlo sfruttando proprio quelle che erano le perplessità di Santorum: Romney è troppo ricco, troppo lontano dal sentire della gente comune, e allo stesso tempo troppo vicino allo stesso Obama per permettersi di criticarlo su questioni alle quali i conservatori sono però tradizionalmente avversi, come la riforma sanitaria e le unioni omosessuali. Ma, si sa, i commentatori politici possono sempre sbagliare.
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