di Andrea Beccaro*
Negli ultimi mesi si è parlato pochissimo di Iraq. La Primavera araba, la guerra in Libia, il conflitto in Siria hanno spostato altrove l’attenzione. Questo silenzio non deve far pensare che la situazione irachena sia sotto controllo e pacificata. Almeno due questioni vanno affrontate: una riguarda la situazione politica, l’altra quella della sicurezza che verrà trattata in un successivo intervento. Anticipiamo però che esso è centrale in un paese ancora fortemente diviso su linee settarie.
Prendiamo spunto dal summit della Lega Araba svoltosi a Baghdad il 29 marzo. Era dal lontano 1990, con Saddam al potere e prima della guerra del Golfo del 1991, che il paese non ospitava un incontro politico similare e certo esso rappresenta un ulteriore riavvicinamento dell’Iraq verso i suoi vicini, la politica internazionale e in particolare quella mediorientale. Sicuramente questa è la lettura data dall’élite irachena che ha messo così in evidenza la volontà di presentarsi come un paese sicuro, solido e in grado di stare in piedi da solo, visto che ormai la presenza militare americana sul territorio è quasi scomparsa (restano poche migliaia di militari, ma è più incerto il numero di contractors). Questa volontà di frattura con il passato per proporsi sotto nuova luce ai riflettori internazionali è stata facilitata del fatto che l’ultimo summit della Lega fu nel 2010, vi parteciparono i leader ora rovesciati dalla primavera araba ed ebbe luogo in Libia con Gheddafi. Insomma il summit 2012 aveva tutti i crismi per essere considerato uno spartiacque, un punto di partenza per le nuove élite politiche del Medio Oriente.
Non è qui il caso di soffermarci oltre sull’incontro, ma è giusto sottolineare che se da un lato esso ha sicuramente riavvicinato l’Iraq agli altri paesi – benché significativamente l’unico capo di governo di un paese del Golfo presente fosse l’emiro del Kuwait -, dall’altro lato ha anche evidenziato profonde differenze e diffidenze. In particolare riguardo il problema siriano dove la cauta politica irachena, figlia di un riavvicinamento tra Baghdad e Damasco avvenuto dopo il 2004, si scontra con quella più aggressiva dell’Arabia Saudita e del Qatar che mirano a scalzare Assad.
Proprio il Qatar si è poi messo in una situazione particolarmente conflittuale con l’Iraq all’inizio di aprile avendo ospitato il vice presidente sunnita Hashimi. Il tutto potrebbe sembrare un normale viaggio diplomatico, senonché Hashimi è ricercato da dicembre dal governo centrale di Baghdad per aver appoggiato e finanziato atti di terrorismo. In risposta Hashimi ha dichiarato corrotto il governo di Maliki affermando, senza allontanarsi troppo dalla realtà, che egli sta conducendo una lotta settaria contro i sunniti e di conseguenza si è rifugiato nella regione autonoma del Kurdistan iracheno. Il problema delle lotte settarie è uno dei principali ostacoli allo sviluppo del Paese sin dal 2003 e il fatto che una regione, anche se autonoma, come il Kurdistan si opponga al governo centrale non può certo essere un sintomo di solidità del paese.
Questo contrasto non è una novità e inoltre il Kurdistan presenta altri due problemi per l’Iraq. In primo luogo esso è ormai, dal 1991, una zona estremamente indipendente che crea seri problemi anche ai vicini, Iran e Turchia. In particolare quest’ultima ha compiuto più di un’operazione oltre confine per colpire i guerriglieri curdi. Ad esempio tra il 17 e il 22 agosto 2011 la sua artiglieria e la sua aviazione uccisero più di 100 curdi in territorio iracheno. Il secondo problema è che questa forte autonomia si rispecchia anche nello sfruttamento delle risorse petrolifere. I giacimenti intorno alla città di Kirkuk sono da sempre problematici, ma ad inizio aprile il governo curdo ha deciso di tagliare le esportazioni di petrolio, che avvengono tramite un oleodotto nazionale, a seguito del mancato pagamento dello stesso petrolio da parte del governo centrale. Questo è un tema costante dell’Iraq post-Saddam.
I problemi iracheni non si fermano qui, poiché il governo centrale è incapace di affrontare il tema delle divisioni settarie e anzi sembra esacerbarle come il caso di Hashimi dimostra. Maliki viene da più parti considerato un dittatore e il suo controllo su alcuni elementi delle forze di sicurezza di certo non fa diminuire queste voci. L’influenza iraniana sugli sciiti, anche se non tutti i gruppi ne soffrono allo stesso modo, rimane forte e preoccupante specie nel sud del paese.
Infine, c’è un grande problema infrastrutturale, perché nel paese luce e acqua potabile sono “beni di lusso”. Infatti, nella stragrande maggioranza del territorio nazionale solo per 6-8 ore al giorno è possibile avere la corrente elettrica e l’acqua potabile non è presente nemmeno in tutte le case delle principali città. Non va poi dimenticato l’altissimo tasso di corruzione che infesta le strutture politiche e burocratiche del paese, in particolare quelle legate allo sfruttamento delle risorse naturali. Vi è poi il problema dell’elevata disoccupazione, un elemento esacerbato sia dalla scarsità di investimenti del settore pubblico sia dal calo di alcuni settori come quello turistico che, specie nelle città sante di Najaf e Karbala, era relativamente fiorente grazie alle celebrazioni religiose sciite che coinvolgevano migliaia di pellegrini. Ora esso sta conoscendo una forte riduzione a seguito delle sanzioni economiche a cui è sottoposto l’Iran da cui provenivano la stragrande maggioranza dei pellegrini.
*Dottore di ricerca in Scienze strategiche presso l’Università di Torino
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