di Luigi Di Gregorio*
Ogni qual volta si affronta la questione della riforma elettorale in Italia, si tende a parlarne come se fosse la panacea di tutti i mali – recenti e remoti – del nostro paese.
Occorrono pertanto due premesse d’obbligo. La prima: il sistema elettorale non è una bacchetta magica. Non aspettiamoci da un nuovo metodo elettorale – come già abbiamo fatto dopo il 1993 – grandi rivoluzioni nella selezione della classe politica, né nell’efficacia del sistema politico. Il sistema elettorale è un meccanismo che serve a tradurre i voti in seggi. Da esso dipendono e discendono numerose implicazioni sulla stabilità dei governi, sulla loro capacità di incidere sulle questioni salienti, sul numero dei partiti e sulla proporzionalità della rappresentanza. Ma da esso non possono discendere miracoli…
La seconda: non esiste un sistema elettorale migliore degli altri, o meglio ogni metodo elettorale presuppone un obiettivo da raggiungere e va scelto sulla base di quell’obiettivo. Abbiamo un Parlamento che non rappresenta fedelmente le forze politiche del paese? Allora serve una formula proporzionale. Abbiamo un serio problema di governabilità? Allora serve una formula che tenda ad aggregare le forze politiche e dunque una formula ad impianto maggioritario. Abbiamo entrambi i problemi? Le cose si complicano… per questo sono nati i sistemi elettorali “misti” – cioè con formule maggioritarie e proporzionali insieme – e per questo sono oggi molto in voga. Ma non è detto comunque che siano sempre in grado di coniugare le esigenze di rappresentatività e di governabilità.
Quali sono i problemi del sistema politico attuale e perché non va bene questo sistema elettorale? Prima di tutto c’è un problema di legittimazione dell’intera classe politica, recentemente collocata al 2% di fiducia da un sondaggio dell’ISPO. Il primo problema dunque è legato alla questione della “casta” e dei nominati. Occorre restituire agli elettori la possibilità di scegliere i candidati da votare. Bene, da quanto emerge sull’accordo di maggioranza sulla bozza di riforma elettorale questa facoltà non c’è. Si parla di un sistema “alla tedesca”, ossia con metà dei seggi attribuiti in collegi uninominali (un solo candidato scelto dal partito) e un’altra metà con formula proporzionale in un collegio unico nazionale (con liste bloccate, anch’esse decise dalle segreterie di partito). Dunque, una bozza di riforma fuori asse rispetto al primo problema oggi emergente, ossia quello della legittimazione della classe politica. Se la scelta sarà questa, occorre introdurre, a mio avviso, le elezioni primarie per legge altrimenti prevedo mala tempora per i nostri riformatori che sembrano non rendersi conto della vera priorità del paese: l’antipolitica galoppante.
Secondo problema. Cosa garantirebbe un sistema alla tedesca? Se preso alla lettera, quel sistema garantisce una rappresentanza proporzionale dei partiti, ma anche una forte presenza di candidati forti sul territorio (grazie alla metà dei seggi attribuiti in collegi uninominali). Non prevede la possibilità di coalizioni pre-elettorali e dunque lascia ai partiti la possibilità di creare coalizioni ex post, ossia a scrutinio già effettuato. Questo è un bene o un male? Teoricamente non è un bene. Ci riporta indietro alla Prima Repubblica e lascia all’elettore un ulteriore dubbio nel momento in cui si reca alle urne: sa per quale partito vota, ma non sa se quel partito governerà ed eventualmente con chi e con quale leader. È vero altresì che il bipolarismo “all’italiana”, sperimentato in questi 20 anni di Seconda Repubblica, non ha dato grandi prove di stabilità dei governi e delle maggioranze e tanto meno di efficacia e di rendimento degli esecutivi. Al contrario ha dato prova di enorme rissosità e divisività. D’altronde non è un caso se i paesi che possono permettersi sistemi ad impianto maggioritario sono quelli con una cultura politica omogenea, senza particolari fratture sociali, religiose, linguistiche e ideologiche. E il nostro non è ancora un paese omogeneo dal punto di vista della cultura politica, al contrario è ancora molto disomogeneo: in poche parole non riusciamo ad essere una Nazione.
Terzo problema. Il sistema tedesco è applicato solo al Bundestag, ossia solo alla Camera “bassa”. Da noi, l’intenzione sembra quella di applicarlo ad entrambe le Camere. Questo comporta due ulteriori dubbi. Anche per il Senato si pensa ad un Collegio Unico Nazionale? Se è così, c’è il solito profilo di incostituzionalità dietro l’angolo, dato che la Costituzione recita che il Senato è eletto su base regionale. Inoltre, altra particolarità non da poco, non tutti sanno che il Bundestag è a dimensione variabile, ossia il numero dei parlamentari eletti può variare da un’elezione all’altra. Ciò accade perché se un partito ottiene il 30% dei voti nell’arena proporzionale deve avere in teoria anche il 30% dei seggi in Parlamento. Ma se ha ottenuto un numero di seggi maggiore nei confronti maggioritari, quei seggi non può perderli. Per cui manterrebbe un numero di seggi maggiore rispetto a quanti gliene assegna la competizione proporzionale. I nostri riformatori hanno preso in considerazione questa peculiarità? Sembrerebbe di no.
In ogni caso, è vero che un sistema con impianto proporzionale potrebbe essere più in linea con il sistema politico e partitico frammentato che ci ritroviamo oggi, con i primi due partiti che a stento raggiungono il 50% delle intenzioni di voto. Qualcuno obietterà che il sistema attuale è già un sistema proporzionale. Questa è una bufala bella e buona. Il sistema attuale è un metodo maggioritario di coalizione, con riparto proporzionale dei seggi. Detto in altri termini, la coalizione che arriva prima ottiene la maggioranza dei seggi (grazie al premio su base nazionale alla Camera e ai premi su base regionale al Senato), poi il resto lo si distribuisce proporzionalmente ai voti ottenuti. C’è ben poco di proporzionale, nel senso che i seggi non vengono assegnati in proporzione ai voti, se non dopo una forte distorsione operata dal premio di maggioranza.
Perché ABC (Alfano, Bersani e Casini) sono favorevoli ad un sistema simil “tedesco”? Direi che l’ha detto bene Casini in una recente intervista a “Che tempo che fa?” Alla domanda “Lei vorrebbe un altro governo Monti?” la risposta è stata (dopo un attimo di esitazione): “Si”. L’obiettivo è creare le condizioni per tagliare fuori la Lega Nord da una parte e l’estrema sinistra più Grillo e Di Pietro dall’altra. E un sistema del genere, ossia un sistema che lasci la possibilità di costituire le maggioranze dopo il voto lo permetterebbe. Inoltre, con la soglia di sbarramento al 5% nazionale e un premio di maggioranza del 5% al primo partito le cose si semplificherebbero. Gli anni a venire saranno molto duri per l’Italia. Nessuno seriamente vuole sobbarcarsi l’onere di “salvare il paese”, questo è chiaro e l’ha chiarito benissimo Bersani sull’ipotesi di voto a ottobre. Ma quanto può durare questo gioco di rimpallo delle responsabilità? Quanto a lungo i partiti più grandi potranno delegare ai tecnici senza perdere ulteriore consenso a vantaggio di Grillo & Co.?
* Docente di Scienza politica e di Analisi delle Politiche pubbliche nell’Università di Viterbo “La Tuscia”.
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