di Alia K. Nardini
Dopo l’appoggio di Newt Gingrich, che ha ufficialmente interrotto la propria campagna lo scorso 2 maggio per sostenere Mitt Romney, arriva per l’ex Governatore del Massachusetts anche il tanto atteso endorsement da parte di Rick Santorum. Ora Romney procede sempre più spedito verso l’appuntamento elettorale del 6 novembre prossimo, in cui sfiderà Barack Obama per la Presidenza degli Stati Uniti.
I sondaggi prospettano, ad oggi, uno scenario di sostanziale parità tra i due sfidanti; data la complessità della situazione, neppure gli analisti politici si arrischiano a fare previsioni. È però possibile avanzare qualche considerazione generale riguardo agli indicatori ed alle tematiche intorno alle quali si articolerà questa campagna elettorale.
Prima di tutto, sembra confermata la tendenza secondo la quale, quando un Presidente uscente si candida per un secondo mandato, le elezioni diventano quasi sempre un plebiscito riguardante l’operato del presidente stesso. I Repubblicani intendono muoversi proprio in questa direzione, trasformando l’appuntamento elettorale di novembre in un referendum sul lavoro svolto da Obama alla Casa Bianca, piuttosto che offrire visioni alternative e proposte concrete per il futuro del paese.
Riguardo invece ai temi che domineranno questa campagna presidenziale, troneggia ancora su tutti l’economia, insieme all’occupazione, ai livelli del debito pubblico e al deficit di bilancio. Seppur Obama venga ritenuto sufficientemente capace riguardo alla sicurezza e al fabbisogno energetico nazionale, il Presidente non sembra riscuotere pareri altrettanto apprezzabili in ambito economico: la maggior parte degli americani non giudica positivamente i modi in cui Obama ha affrontato la crisi economica e la questione dell’occupazione in America. Anche lo stimulus package (l’insieme di manovre varate per rilanciare l’economia, dettagliate nell’Emergency Economic Stabilization Act del 2008), e il suo successore, l’American Recovery and Reinvestment Act del 2009, suscitano ancora oggi impressioni principalmente negative tra i cittadini statunitensi.
Nel complesso, la classe media tende sostanzialmente ad avere più fiducia in un’eventuale Presidenza Romney per risollevare le sorti dell’economia americana. Il Presidente in carica è invece popolare tra le fasce più disagiate (chi guadagna meno di 20mila dollari l’anno) e quelle medio-benestanti (più di 100mila dollari l’anno, ma meno di 250mila), mentre i ceti più affluenti vedono tutelati al meglio i loro interessi con l’ex Governatore del Massachusetts. Sorprende inoltre come quasi il 20% dei Democratici reputi Romney più capace rispetto a Obama sui temi economici. L’indicatore migliore della performance di Obama resta però la percentuale di approvazione dell’operato del Presidente, ferma da mesi tra il 44 e il 49% – dati che, se reputati indicativi del sostegno complessivo nei confronti di Barack Obama, sembrano preannunciare una sfida acerrima tra lui e Romney.
A tutto questo si aggiunge il dibattito sulla riforma sanitaria, seppur il modo in cui questa inciderà sul risultato elettorale sarà legato a doppio filo con il giudizio formulato dalla Corte Suprema riguardo alla costituzionalità di questo progetto. Ciò nonostante, è evidente che il Patient Protection and Affordable Care Act non è stato in grado di mantenere le proprie promesse: i costi sono più che duplicati rispetto al budget previsto dai collaboratori del Presidente, i premi assicurativi sono saliti, e molti cittadini sono stati costretti a cambiare i propri specialisti di riferimento, vedendo cancellati dal mercato schemi che rispondevano appieno alle loro esigenze (e alle loro tasche). A differenza di quanto promesso, l’Obamacare non ha neppure contribuito a ridurre il deficit nazionale, né ha saputo creare i tanto sospirati milioni di posti di lavoro.
Nel complesso, per le tematiche trattate e per la composizione e la mobilitazione dell’elettorato che si preannuncia, nelle presidenziali 2012 si assisterà ad uno scenario più simile a quello delle elezioni di medio termine del 2010, piuttosto che a quello delle presidenziali 2008 – il che significa anche che i temi sociali, seppur in secondo piano, continueranno a dimostrarsi rilevanti. Tra essi, spicca il ruolo della fede e dei valori in politica (il dibattito sull’interruzione di gravidanza) e il problema dei diritti delle minoranze, tema ancora sorprendentemente attuale dopo l’esplicita apertura di Obama alle unioni omosessuali e il ritorno alla ribalta delle questioni razziali dopo il caso Trayvon Martin (il giovane di colore, minorenne e disarmato, ucciso da un vigilantes per cause ancora non del tutto chiare).
Tornando al paragone con le scorse elezioni presidenziali, certo è che, a differenza del 2008 (e in concordanza con il 2010), i Repubblicani sono molto più attivi e partecipi riguardo al processo elettorale. Questo tuttavia non riflette un rinnovato entusiasmo del Grand Old Party per i propri esponenti di partito, ma rispecchia piuttosto l’incrollabile determinazione a sbarazzarsi del “socialista” Obama. Il popolo Repubblicano è ancora penosamente poco ispirato e piuttosto tiepido nei confronti del proprio candidato, Mitt Romney.
In un momento in cui la preoccupazione degli americani per l’economia sovrasta ogni altra cosa, la competenza di Romney riguardo ai temi economici potrebbe fare la differenza per l’elettorato statunitense. Questo però accadrà soltanto se i dati relativi alla produttività e all’occupazione non daranno segni consistenti di miglioramento. Se invece dovesse innescarsi la tanto sperata ripresa – ripresa che si accompagnerebbe, quasi certamente, ad un aumento di fiducia nell’operato del Presidente – sarà molto più difficile per i Repubblicani sconfiggere Obama.
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