di Roberto Valle
La cerimonia per il terzo avvento di Putin alla presidenza della Federazione Russa si è svolta il 7 maggio 2012 in un’atmosfera spettrale: l’icona del Defensor Patriae (così Putin III si è autocelebrato nel corso della sua marcia trionfale verso la presidenza) si è stagliata nel vuoto organizzato, al fine di prevenire manifestazioni di protesta. La verticale del potere, come ha ironicamente rilevato la «Nezavisimaja Gazeta», ha ingaggiato contro l’opposizione una sorta di «lotta per l’estetica della capitale».
Mosca, città vuota e muta, ha sentito risuonare le parole del discorso inaugurale nel quale Putin ha affermato che la Russia deve essere al centro di una modernizzazione impetuosa «in tutte le sfere della vita». La Russia sta entrando in nuovo stadio del suo sviluppo e i prossimi anni saranno decisivi per la creazione di una nuova economia, con un «tessuto industriale competitivo e infrastrutture moderne», che, secondo Putin, non dovrebbe più dipendere esclusivamente dalle entrate dello Stato derivanti dai prezzi del gas e del petrolio. L’eccessiva intrusione dello Stato nella sfera economica dovrebbe essere mitigata al fine di superare il ritardo tecnologico e di inaugurare un «ciclo innovativo» nel contesto di una divisione internazionale del lavoro nella quale la Russia non sia solo fornitrice di materie prime, ma anche produttrice di tecnologia avanzata. Tuttavia, secondo Putin, lo Stato deve continuare a imprimere il primo impulso verso la modernizzazione e la diversificazione dell’economia, come dimostrano i successi della Corea del Sud e della Cina.
La Russia, secondo Putin, deve diventare il «centro di gravità» dell’intera Eurasia dal Baltico al Pacifico. Il progetto di integrazione dell’Eurasia è cruciale e prioritario per la geopolitica e la geoeconomia della Russia come ha sostenuto Putin in un articolo pubblicato su «Izvestia» il 4 ottobre 2011: il trattato istitutivo dell’Unione Eurasiatica, siglato tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan il 9 dicembre del 2011 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2012, contempla la creazione di uno spazio economico comune, senza le superstrutture burocratiche dell’Unione Europea, al fine di contrastare la crisi globale e di trovare nuove risorse per la crescita economica soprattutto nei settori delle risorse energetiche, dell’high tech, dei trasporti e dello sviluppo sociale. L’Unione Eurasiatica, secondo Putin, è destinata a espandersi e a includere il Tagikistan e il Kirghizistan: l’Unione Eurasiatica è un «progetto aperto» che intende inglobare e integrare lo spazio post-sovietico.
Sia nell’articolo pubblicato su «Izvestia», sia nel discorso di investitura, Putin va oltre la dottrina del «vicino estero», stabilita al tempo di El’cin, e formula una sorta di dottrina Monroe per l’Eurasia. Al vertice dell’Unione Eurasiatica del 19 marzo 2012 hanno partecipato come osservatori l’Ucraina, l’Armenia e la Moldavia: l’Unione Eurasiatica intende comprendere i paesi che fanno parte di quelle Comunità degli Stati Indipendenti che è sorta nel 1991 dopo il crollo dell’Urss e che, nell’arco di un ventennio, è rimasta un mero acronimo e non un autentico Commonwealth come era nelle aspirazioni originarie. Nei primi due mandati presidenziali (2000-2008) Putin, quale Defensor Patriae, si era posto come obiettivo la rinascita della Grande Russia, reprimendo il secessionismo ceceno; Putin III si pone come missione storica di reintegrare lo spazio post-sovietico e di stabilire una partnership tra l’Unione Eurasiatica e l’Unione Europea che conduca a un mutamento degli equilibri e dei destini geopolitici e geoeconomici del mondo globale. Putin ha rinunciato a presenziare al vertice del G8 a Camp David del 18 e 19 maggio e ha inviato il neo primo ministro Medvedev, dimostrando che l’ex presidente irresoluto ha portato a compimento lo sviluppo del sistema putiniano e che è parte integrante, secondo Gleb Pavlovskij, di un duumvirato basato sulla dottrina del team di potere.
Il primo viaggio all’estero di Putin III ha come destinazione la Bielorussia (considerata dall’Occidente l’avamposto della tirannia in Europa), quale emblematica affermazione della priorità del progetto di Unione Eurasiatica. L’heartland eurasiano non è più la centrale del comunismo mondiale, ma dovrebbe ricomporre la propria unità per diventare il centro di irradiazione di una rinascita economica che riconfiguri la geopolitica e la geoeconomia della globalizzazione secondo un assetto multipolare. La crisi economica globale, secondo Sergei Karaganov (influente analista e presidente del Consiglio per la Politica Estera e di Difesa), è stata foriera di una «instabilità creativa» basata su una autentica multipolararità, perché i centri di potere mondiale hanno cominciato a controbilanciarsi l’uno con l’altro, minando le ambizioni egemoniche dell’unipolarismo americano. La crisi economica globale, per Karaganov, ha indebolito l’appeal del modello liberale e democratico occidentale e ha inaugurato l’era della «democrazia autoritaria» o dell’«autoritarismo democratico». Nel nuovo mondo del XXI secolo, il Vecchio Occidente non appare più competitivo e i fondamenti delle moderne democrazie avanzate, basati su una prospera classe media, hanno subito una erosione. Tale erosione ha favorito, secondo Karaganov, l’insorgere di movimenti estrema destra e nazionalisti (come il movimento del Tea Party negli Stati Uniti) e di movimenti di ultrasinistra (come Occupy Wall Street) e ha fatto deflagrare i tradizionali assetti istituzionali di centro-sinistra e di centro-destra in Europa (emblematico in tal senso, secondo Karaganov, è il caso di Sarkozy). I sistemi politici occidentali all’epoca di Churchill, di Eisenhower e di Charles de Gaulle erano più autoritari rispetto agli attuali standard europei e occidentali: pur non rinunciando ai principi base della democrazia, l’Europa e gli Stati Uniti saranno indotti dalla crisi a una svolta verso quell’autoritarismo democratico che ha consentito alla Russia di non crollare e di risollevarsi dalla crisi devastante degli anni Novanta.
Lo sviluppo delle istituzioni democratiche può avvenire solo nel contesto di uno Stato qualitativamente solido e sovrano, come ha rilevato Putin in un articolo pubblicato il 2 febbraio 2012 su «Kommersant’». La democrazia basata sul culto del potere miracoloso del suffragio universale, per Putin, degenera in oligarchia o in anarchia, come è accaduto in Russia negli anni Novanta, mentre il vero fondamento della democrazia è il ripristino della «sovranità del popolo» e dello Stato: il sistema forgiato all’inizio del XXI secolo, secondo Putin, ha coerentemente incarnato la volontà del popolo, anche se i meccanismi della democrazia sovrana russa vanno aggiornati. L’autentica democrazia, per Putin, non si esaurisce con la «marcia alle urne» ma deve basarsi sia sui «piccoli spazi» (secondo la definizione di Solženicyn) sia sulla democrazia di internet, quali fondamenti di una sorta di agorà plebiscitaria a diretto contatto con la verticale del potere. Nel secondo decennio del XXI secolo, la salvezza dell’Occidente in crisi verrà, come afferma Karaganov, dall’Eurasia (Ex Oriente Lux) e dalla democrazia autoritaria?
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