di Andrea Beccaro
Il 23 e 24 maggio l’Iraq e Baghdad sono tornati ad essere il centro di importanti discussioni internazionali e di colloqui di alto livello dopo che a fine marzo si era svolto, sempre nella capitale irachena, il summit della Lega araba. Tali colloqui ci portano a riflettere almeno su due aspetti.
Il primo riguarda la questione del nucleare iraniano, un tema centrale per la politica del Medio Oriente in senso lato, ma anche per gli equilibri mondiali visto che la questione del nucleare è sempre una questione decisamente sensibile. I colloqui con il gruppo dei 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) con l’Iran si erano interrotti più di un anno fa ed erano stati ripresi solo a metà aprile con un incontro interlocutorio a Istanbul. Quello appena svoltosi a Baghdad non ha portato a sostanziali passi avanti, ma da un lato ha aperto a un ulteriore incontro (a Mosca il 18 e 19 giugno) e dall’altro ha mostrato un Iran più intraprendente di fronte a una comunità internazionale invece molto ferma sulle proprie posizioni. Infatti, l’Iran ha in un primo momento sorpreso tutti con l’annuncio, di poco antecedente il summit di Baghdad, della propria disponibilità a ispezioni dell’AIEA nel complesso di Parchin. Poi la delegazione iraniana ha presentato un documento di cinque proposte ai partecipanti dell’incontro a Baghdad.
Benché il documento sia rimasto segreto, si può ipotizzare parzialmente il suo contenuto. Con tale mossa, infatti, l’Iran punta ad allargare la cerchia dei partecipanti al dialogo e a un suo reinserimento nella vita internazionale. Ovvero l’obiettivo di tale mossa, che ha preso in contropiede i delegati del gruppo dei 5+1, è quello di mostrare la buona volontà iraniana (anche a fronte dell’apertura a ispezioni dell’AIEA) in cambio però di una riconsiderazione delle sanzioni economiche che stanno flagellando il paese. Da questo punto di vista, invece, le proposte dei 5+1 sono rimaste in linea con gli incontri precedenti confermando, in attesa di passi concreti da parte di Teheran, le linee politiche precedenti. Il problema dell’arricchimento dell’uranio resta centrale così come il ruolo di alcuni siti come quello di Fordo.
La conclusione dei lavori è stata interlocutoria, anche se bisogna ricordare che l’incontro era stato pensato come un singolo giorno di discussione, ma i delegati hanno poi deciso di allungare il summit a due giorni. Tale scelta potrebbe essere figlia, come sostengono alcuni, della pochezza delle offerte del gruppo dei 5+1 che, non avendo un vero e proprio potere di contrattazione, miravano solo a guadagnare tempo, per cui si è allungato il summit nel tentativo di non chiuderlo con un totale nulla di fatto. Secondo altri, invece, la scelta dei due giorni potrebbe essere stata dettata dall’esigenza di portare avanti anche incontri bilaterali e affrontare con la dovuta attenzione la proposta iraniana.
Il secondo aspetto su cui questo incontro ci porta a riflettere è il ruolo non secondario giocato dal luogo dove si è svolto, ovvero la capitale irachena. Tale scelta evidenzia il continuo tentativo del governo iracheno di proporsi alla comunità internazionale come un soggetto credibile oltre che quello di tornare a giocare un ruolo nella vita internazionale mediorientale dopo anni di “esilio” dovuto prima all’isolamento del regime di Saddam e poi alla guerra con la presenza americana sul proprio territorio. A questo proposito è doveroso ricordare che il premier iracheno Maliki ha sponsorizzato l’incontro affermando che nel paese ormai ci sono tutte le condizioni di sicurezza necessarie affinché incontri internazionali di tal genere possano svolgersi senza problemi. Ma una tale affermazione è tutta da verificare. Sicuramente nella capitale nei giorni dell’incontro non si sono registrati attacchi, ma per esempio il 24 maggio tre pellegrini libanesi sono rimasti uccisi dall’esplosione di un IED che ha colpito, nei pressi di Ramadi, il pulmino su cui viaggiavano. Poi, domenica, un altro pullman di pellegrini pakistani è stato colpito sempre da un IED nei pressi di Falluja causando il ferimento di 25 persone. Senza poi dimenticare il fatto che in Iraq pare continuino a operare prigioni segrete gestite dai servizi di sicurezza in cui vengono detenuti prigionieri politici.
La scelta della capitale irachena però ha anche un ulteriore aspetto non secondario. Infatti, l’influenza iraniana in Iraq è nota sia perché molti degli elementi sciiti al governo hanno avuto in passato legami forti con Teheran sia perché i gruppi sciiti, come il Mahdi di al-Sadr, hanno usufruito fin dall’inizio dell’intervento americano dell’addestramento e degli aiuti iraniani. Ora con l’America che si è ritirata dal paese a dicembre gli equilibri locali tornano a favore dell’Iran che, seppur in modo più pacifico (o semplicemente più nascosto?) rispetto agli anni tra il 2003 e il 2007, sta cercando di riscuotere i suoi “investimenti” nel paese. Forse non è un caso che proprio la settimana scorsa il generale Mattis, comandante del CENTCOM, abbia chiesto al presidente Obama l’invio di tre portaerei nel Golfo.
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