di Sofia Ventura*

La politica italiana ristagna, pare che non vi sia all’orizzonte nessuna personalità con qualche idea per come uscire dallo stallo, tutti, chi più chi meno, balbettano, attendono, lanciano proposte senza preoccuparsi di capire come ottenere davvero qualche buon risultato. Non si capisce se la consapevolezza dello sfascio imminente abbia raggiunto le menti di tutti i nostri politici e, poiché anche alla stupidità c’è un limite, sorge il sospetto che del futuro di questa nostra povera Italia in molti se ne infischino.

Una finestrella si è aperta dopo il preoccupante risultato delle elezioni greche e l’inquietante segnale che è giunto ai partiti tradizionali dalle elezioni amministrative. Ha cominciato a farsi strada una maggiore consapevolezza che certe scelte – insistere su una legge elettorale proporzionale e rinunciare a innovazioni istituzionali significative – avrebbero effetti gravi. In questo contesto si è inserita la proposta del Pdl di una riforma istituzionale sul modello semi-presidenziale. Ottima proposta, ma incompleta e presentata in modo maldestro, sia durante le conferenza stampa in cui Alfano e Berlusconi hanno illustrato, peraltro confusamente, il progetto, sia nella lettera del segretario del Pdl al Corriere della Sera di alcuni giorni fa. In entrambi i casi è apparso evidente come i vertici del Pdl ancora tentino di conciliare un’azione di rilancio con preoccupazioni partigiane che oggi non hanno più motivo d’essere.

L’ambiguità sull’adozione del doppio turno di collegio per l’elezione del Parlamento rispecchia i timori di buona parte del partito, spaventata dalla possibilità che gli elettori pidiellini siano restii ad andare a votare una seconda volta e forse anche la speranza che il mantenimento del Porcellum dia maggiori chance di rielezione ai parlamentari uscenti e conservi per il PdL un ruolo di sistema, nonostante il calo di consensi. Ma ciò di cui nel Pdl forse non si rendono conto, è che il sistema sta crollando e che continuando con questi giochetti altro non faranno che consegnare il Paese ad una pericolosa forza antisistema come quella del Movimento 5 Stelle.

Analogamente, da parte delle altre forze politiche si continua a oscillare tra la paura che l’inazione possa produrre conseguenze disastrose e la preoccupazione di uscire comunque vincitori dal pericoloso gioco che oggi si sta giocando. Fini e Casini stanno a guardare, come se ancora fosse il tempo della tattica e come se una radicale innovazione istituzionale fosse non un’opportunità per tutti , ormai l’unica, ma uno sconvolgimento delle regole del gioco da guardare con circospezione, perché potrebbe mettere in crisi il loro peso futuro (anche loro sembrano non capire che tutta l’attuale classe politica potrebbe non avere alcun futuro).

Nel Pd, dopo le prime reazioni negative di Bersani alla proposta pidiellina, qualche spiraglio si è aperto, ma le voci più decise a favore di un accordo su semi-presidenzialismo e doppio turno ancora non paiono così forti da mettere in moto un’ iniziativa di rilancio del progetto.

Nella attuale situazione di sfaldamento del sistema dei partiti, è chiaro che solo una riforma che tenga insieme in modo coerente nuova forma di governo e nuovo sistema elettorale può fornire un impulso per il rinnovamento dei partiti e consentire una riorganizzazione efficace del sistema politico. Oggi, il solo presidenzialismo alla francese o il solo sistema di doppio turno sarebbero una follia, creerebbero uno squilibrio pericoloso e un corto circuito tra istituzioni e sistema partitico, che invece devono convergere verso la stessa direzione, quella di un sistema di governo forte sorretto da maggioranze omogenee. L’adozione contestuale di entrambe le riforme invece sarebbe in grado, a differenza delle riformette delle quali si sta discutendo oggi, di creare un sistema di vincoli e opportunità stringente e virtuoso.

L’esempio del passaggio tra Quarta e Quinta Repubblica è lì a dimostrarlo e ormai lo stiamo ripetendo sino alla noia, ma pare che la storia ai nostri politici non insegni molto. E così al momento sembra che nessun leader politico abbia la consapevolezza e la capacità di assumere l’iniziativa in modo chiaro ed esplicito, per dare vita all’unico accordo che può salvarci da una stagnazione che rischia di trasformarsi presto in caos.

Sul tema è intervenuto anche il Capo dello Stato, anche se il suo intervento, a prescindere o meno dalle intenzioni, rischia di rallentare piuttosto che favorire il raggiungimento di un accordo di alto livello. Napolitano si è mostrato preoccupato che il presidenzialismo sottragga al sistema la garanzia di un Presidente al di sopra delle parti. Certo, il problema delle garanzie è un problema serio, anche se la storia americana e quella francese mostrano che si può affrontare anche con un presidente governante eletto dal popolo; esso, comunque, va posto nella giusta prospettiva, ovvero quella di porre limiti e contrappesi ad un sistema di governo forte ed efficace, che noi non abbiamo.

Non bisogna dimenticare che un governo debole e incapace di prendere decisioni non è meno pericoloso di un governo che va al di là dei limiti stabiliti; la storia, anche qui, ci insegna che è proprio la debolezza politica ad avere spesso aperto la strada a soluzioni autoritarie. Il discorso sui limiti e sulle garanzie non può, dunque, essere un alibi per mantenere sistemi deboli e inefficaci e se le attuali forze politiche avessero un po’ di lungimiranza e mostrassero un barlume d’interesse per il loro paese si siederebbero al tavolo affrontando con serietà e in tempi brevi tutte le questioni inerenti l’innovazione istituzionale.

Ma il tempo passa e le prossime elezioni si avvicinano. Forse dovremo attendere che buona parte di questo ceto politico sia spazzato via per pensare ad un nuovo inizio, ma non sarà facile, specialmente se ci troveremo una forza antisistema come secondo partito e poche nuove leve all’altezza della situazione. Sarebbe meglio fare qualcosa ora, tanto più che ormai è chiaro cosa deve essere fatto, bisogna solo volerlo fare.

* Docente di Scienza politica nell’Università di Bologna e membro dell’Istituto di Politica.  Articolo apparso su Libertiamo.it

 

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