di Angelica Stramazzi

Oltre a decretare la sconfitta dei principali partiti italiani – l’evaporazione del Pdl in termini elettorali, il tracollo della Lega Nord e la mancata affermazione del Terzo Polo – le recenti elezioni amministrative hanno offerto non pochi spunti di riflessione a chi desideri comprendere le ragioni dell’impasse in cui versa il nostro sistema politico. E’ solamente una questione di raggruppamenti partitici e di alleanze stantie oppure occorre modificare il meccanismo di selezione della classe dirigente? Quale messaggio ha voluto inviare l’opinione pubblica a coloro che hanno governato il Paese negli ultimi decenni?

Derubricare un quadro così complesso a semplice voto di protesta o a defezione non sembra corretto, se non fosse per il fatto che è proprio dalle amministrative di maggio che i partiti italiani, e con essi i leader che li guidano o che li dovrebbero guidare, hanno stabilito di avviare una profonda rifondazione delle loro strutture, dei gruppi che ad esse fanno riferimento e delle strategie di comunicazione e marketing che precedono la presentazione di qualsivoglia offerta politico-elettorale. Solo maquillage quindi? Non è detto, a patto però che il quadro politico fuoriuscito dalle urne sia in grado davvero di impartire una lezione significativa ai nostri governanti.

Cambio di strategia comunicativa, dunque, ma anche di leadership e di identificazione della stessa, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata (a torto oppure a ragione) la fine dell’era dei partiti personali, incentrati sulla figura carismatica di un leader e sulle sue capacità di mantenere coeso ed unito un certo gruppo. Anche il successo del Movimento 5 Stelle è stato, sotto questo aspetto, notevolmente ridimensionato: si è trattato più che altro di una vittoria dei candidati espressione delle varie realtà locali e cittadine in cui la “creatura” di Grillo presentava la propria offerta politica. Per non parlare poi della Lega Nord, rimasta orfana (e vittima) del suo fondatore, ed ora in cerca di riscatto in vista del congresso federale che, a breve, dovrebbe – il condizionale in questi casi è d’obbligo – incoronare Roberto Maroni quale nuovo segretario del partito.

In questo scenario, resta dunque da definire quali saranno le future leadership che si confronteranno sulla piazza elettorale, fermo restando che qualche vagito populista o di stampo personalistico tornerà inevitabilmente ad emergere. Del resto, la politica richiede, per poter mostrare all’esterno i suoi frutti, semplificazione e stabilità, cosa che può essere maggiormente garantita da una guida forte e responsabile e non già da un manipolo di capitribù in lotta per contendersi il trono.

Lo scorso 28 maggio, Ilvo Diamanti su Repubblica sottolineava che sarebbe finito «il tempo dei “politici imprenditori” e degli “imprenditori politici” come alternativa ai “politici di professione”», a fronte della situazione attuale gestita dagli esperti e dai tecnici. L’affermazione di Diamanti quindi escluderebbe una possibile discesa in campo di Luca di Montezemolo, leader di Italia Futura e principale personalità a cui il mondo politico (ma non solo) guarda con interesse.

Va tuttavia sottolineato che la competizione democratica, e con essa quella elettorale, non esclude aprioristicamente determinate figure inglobandone altre: ciascun cittadino infatti dovrebbe essere messo nella condizione di contribuire al miglioramento della società in cui si trova a vivere e ad operare. E’ questo uno dei postulati che stanno alla base di qualsiasi sistema democratico maturo, basato sulla competizione elettorale e sul confronto tra diverse proposte programmatiche provenienti da questo o da quel gruppo politico. Sarà poi l’elettore a scegliere e a valutare di conseguenza: l’importante è che non si stabiliscano fin dal principio delle regole rigide volte ad escludere dall’agone politico chiunque desideri farsi avanti. Certo, una semplificazione delle regole del gioco e del sistema da esse derivante va mantenuta ben salda per evitare che, alla fin fine, il caos democratico prevalga senza aver definito chi è che governa e chi invece siederà all’opposizione.

Sarebbe infine opportuno che la politica italiana, e con essa anche una certa parte di chi la osserva e la analizza, si liberasse dei numerosi personalismi che, fino ad ora, l’hanno tenuta imbrigliata, soffocando la sua originaria vocazione al perseguimento dell’interesse generale e del bene comune.

 

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