di Apostolos Apostolou*
La crisi è sempre questione di squilibrio tra cause ed effetti, e trova o meno la sua soluzione in un riaggiustamento delle cause.
Oggi parliamo di crisi economica. Secondo Marx le crisi economiche sono crisi di sovrapproduzione che tendono ad aggravarsi e ad estendersi. La crisi proviene dal capitalismo dirà Marx, perché il capitalismo è caratterizzato da contraddizioni, la più importante delle quali è la caduta tendenziale del saggio medio di profitto cioè il rapporto tra il plusvalore e il capitale globale investito: (p=Pv/c+v). Per Ricardo invece la crisi è una conseguenza finale che matura lentamente in conseguenza dell’accumulazione.
La prima fase del capitalismo è l’accumulazione pre-capitalista. Abbiamo la prima fase del capitalismo già nelle città-stato del periodo medievale. In tale realtà esso si sviluppa pienamente nei suoi presupposti essenziali: dalla libertà di concorrenza all’accumulazione indefinita della ricchezza finanziaria, dal calcolo razionale del profitto alla ricerca di sempre nuovi sbocchi commerciali. (M. Weber sottolineava, del resto, che nel Medioevo esponenti del popolo ebraico avevano accumulato grandi patrimoni con il commercio e l’attività finanziaria).
La seconda fase del capitalismo è nel XVI secolo. Nacque allora una forma completamente nuova di capitalismo. Gli artefici del capitalismo moderno erano uomini (non sempre Ebrei) votati alla loro missione, non spinti dall’amore per il “Dio denaro”: anzi, l’accumulazione della ricchezza era soltanto un sottoprodotto casuale, quasi non voluto, della loro attività. Essi, sempre secondo Weber, erano ispirati da una disciplina morale (il sociologo mise etica protestante e moderno spirito del capitalismo in rapporto di causa/effetto), da una “ascesi mondana”, che li spingeva ad identificare la loro religione con il metodico adempimento della loro vocazione o professione e, incidentalmente, ad accumulare ricchezze che potevano investire solo in quella vocazione, dato che rifiutavano ogni forma di lusso, di sperpero, di ambizione sociale. Weber non sostenne che Giovanni Calvino e gli altri maestri protestanti avessero direttamente propugnato il capitalismo o i metodi capitalistici, né che l’insegnamento di Calvino sull’usura avesse esercitato qualche influenza sulla nascita del sistema capitalistico: cionondimeno, il protestantesimo esprime la disciplina del capitalismo. Nel concetto protestante venivano infatti a combinarsi le idee di professione e vocazione, consacrata dal fatto che e’ Dio che ci chiama a svolgere un impegno sociale dai risvolti economici. Cos’altro è, del resto, la disciplina di bilancio? E il patto di stabilità e crescita?
Il premier Mario Monti dirà: «L’Italia punta al pareggio di bilancio nel 2013. Per riuscirci è necessario evitare politiche keynesiane illusorie e di vecchio stampo che favoriscano espansione di deficit di bilancio». Qui troviamo espresso il pensiero di economia di protestantesimo. Un canone, un compito. Un canone del giudizio morale in generale, per ricordare E. Kant.
Il canone è anche il centro dell’economia tedesca di Angela Merkel. Così l’ economia non è inclinazione, ma è imperativo. Ricordate cosa scriveva E. Kant (il Mose della nazione tedesca) per l’imperativo. Tutti gli imperativi sono espressi da un dover essere [Sollen], secondo Kant, e denotano il rapporto di una legge oggettiva della ragione con una volontà che, per la sua costituzione è soggettiva e determinata. Quando penso un imperativo – dirà Kant – in generale, non so ciò che conterrà finché non ne sia data la condizione. Se invece penso un imperativo categorico, so immediatamente che cosa contiene. Infatti l’imperativo non contiene che la necessità, per la massima (cioè, la regola pratica secondo Kant, il principio valido per ogni essere ragionevole, secondo cui esso agisce, cioè un imperativo) di essere conforme a tale legge, senza che la legge sottostia a nessuna condizione; di conseguenza non resta che l’universalità d’una legge in generale, a cui deve conformarsi la massima dell’azione, ed è soltanto questa conformità che l’imperativo presenta propriamente come necessaria. Qui abbiamo ciò che dice S. Zizek: più obbedisci al comando del Super-io, e più sei colpevole. Così l’economia di oggi, diventa come il Super-io che rappresenta la censura morale della coscienza, l’insieme dei divieti sociali derivante dall’identificazione con il mercato (il padre secondo psicoanalisi) e le sue regole.
L’ubbidienza vale più del sacrificio. L’economia è l’assoluto dovere, è la uniformazione planetaria della unificazione del mondo sotto il segno dell’Occidente. Nella società postmoderna l’individuo è completamente isolato in un sistema che manipola il suo immaginario tramite la pubblicità e la propaganda. Il suo comportamento tradisce un conformismo assoluto, un’obbedienza a tutte le mode. Possiamo parlare ancora di economia? Con il senso che aveva nell’analisi classica o marxista, assolutamente no. Perché il suo motore non è più l’infrastruttura della produzione materiale, ne’ la sovrastruttura bensì la destrutturazione del valore, la destabilizzazione dei mercati e delle economie reali.
L’economia cessa di esistere sotto i nostri occhi, si trasforma da se stessa in un debito-economia della speculazione (diviene necessità o “omotropia”, ha il carattere del bisogno, con significato di domanda, ovvero connette il soddisfacimento del bisogno con qualcun altro che soddisfa il bisogno, come la banca).
Cosi il debito diviene un satellite della terra, comincia a entrare in orbita e prende a circolare da una banca all’altra, da un paese all’altro. L’economia oggi è un’economia virtuale. Gioca con una curva di flessione, e non funziona come volontà politica ma come ricatto. In Europa, ad esempio, pare che interi paesi siano stati presi “in ostaggio” da emissari della B.C.E. I cittadini in Europa vivono la Sindrome di Stoccolma, cioè quella condizione psicologica che porta le vittime a solidarizzare con i carnefici.
Eppure l’ellenismo durante il periodo pre-etnocratico ha sviluppato un altro sistema economico. La Grecia non è mai passata attraverso il feudalesimo, e aveva un carattere cosmopolitico, proprio durante l’epoca bizantina. La città oligarchica, partecipa al processo politico attraverso l’intermediario dalle Koina, i locali o settoriali, cioè un sistema economico che fa dipendere la relazione tra lavoro e capitale, non dalla proprietà (non abbiamo il periodo pre-etnocratico la piena proprietà ma la nuda proprietà) ma dalla partecipazione in partenariato di ciascuno sulla base del proprio contributo al processo di produzione.
Questa filosofia collega la verità con la democrazia e con la chiesa (la chiesa rappresenta il demos, nella Grecia antica), con l’esercizio comune delle relazioni di comunione della vita. E’ il synamfoteron (συναμφότερον parola che troviamo da Aristotele a Gregorio Palama) cioè l’ambedue insieme. Nessuna autorità, nessuna rivelazione costruttiva garantisce secondo ragione la verità. La verità si raggiunge soltanto con l’esercizio delle relazioni secondo ragione. Nel medioevo greco, e proprio nei testi dei Padri della chiesa ortodossa, troviamo la parola αλληλοπεριχώρηση cioè la reciproca inter-penetrazione. La parola esprime l’idea che la politica mira a liberare l’essere umano, a permettergli di accedere alla propria autonomia per mezzo di un’azione collettiva la quale ha come oggetto la trasformazione delle istituzioni. Questo pensiero politico si chiama “apofatismo” della tradizione gnoseologica greca. Comprende il rifiuto di esaurire la conoscenza nella sua formulazione, anche nel rifiuto di identificare la comprensione dei significanti con la conoscenza dei significati.
Per esempio Giovanni Crisostomo e Ambrogio si opposero decisamente al despotismo imperiale in quanto strumento di oppressione e di corruzione della gente semplice. L’ortodossia greca parla di azione di ingiustificato arricchimento. Le grandi ricchezze – ripetono i Padri – sono sospette: da dove vengono se non dall’ingiusto sfruttamento dei poveri (Basilio Magno).
Nella società greca era fondamentalmente una “sympoliteia”, che si basava sul sistema delle koina-città. (Il teologo Gregorio parlerà di isonomia e ricchezza. La parola isonomia, dal greco iso, cioè uguale e nomos, cioè legge, indica l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge).
Il concetto di sympoliteia definisce gli uomini di città-stato che nascono nel III secolo essenzialmente nella Grecia metropolitana fino ai primi leaders della Guerra di Indipendenza.
Molti in Europa parlano di riordinamento dell’Europa e pensano di organizzare una nuova Santa Alleanza come il Cancelliere Austriaco Metternich, l’uomo che in pratica elaborò tutte le clausole della nuova realtà politica di allora. Merkel assomiglia a Metternich, sogna un Impero che sorge dalla dissoluzione degli Stati-nazione, una forma paranoide di sovranità come la definisce Edgar Morin. Oggi Merkel ha una visione totalizzante e livellatrice della politica, vede la politica come inglobamento assorbente della vita. L’idealismo politico tedesco o l’ideologia anti-modernista Volskich non si rende conto che la politica presuppone sempre un’ipotesi, un punto di vista.
*Docente di Filosofia
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