di Antonio Mastino

A seguito del voto nel run-off delle presidenziali egiziane, il candidato vicino ai Fratelli Musulmani, Mohammed Mursi, con il 51,7% delle preferenze è prevalso sul candidato sponsorizzato dai militari, quell’Ahmed Safik già ex primo ministro di Mubarak. L’esito delle elezioni e la vittoria di Mursi hanno molto significato, poiché concludono provvisoriamente il processo evolutivo delle istituzioni egiziane e rappresentano una svolta diversa da quella immaginata dalle tante anime della rivoluzione che un anno fa ha reso piazza Tahrir la piazza della Primavera Araba per eccellenza. I due avversari del ballottaggio, infatti, non rappresentavano né le istanze democratiche e moderniste dei blogger anti-regime che hanno in qualche modo “dato il là” alle rivolte, né tantomeno le componenti dell’Islam più radicale, quei salafiti che, vistisi traditi dall’evoluzione degli eventi, sono recentemente tornati in piazza, prendendosela in particolare con quelli che sono rimasti in qualche modo i “guardiani” della Repubblica Egiziana, ovvero le Forze Armate (nel mirino è stato spesso, infatti, il Ministero della Difesa).

Le proteste, peraltro, sono riesplose nelle scorse settimane dopo lo scioglimento del Parlamento per decisione del Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA). Il provvedimento è una marcia indietro significativa nella democratizzazione del paese, poiché se da un lato si tratta della cancellazione di un’istituzione eletta, nata con quello stesso processo che ha portato alle Presidenziali (e che ha lasciato sul campo centinaia di morti), dall’altro restituisce alle FA il potere legislativo nonché quello di ratifica di trattati internazionali. I militari, che hanno un saldo controllo economico dello Stato egiziano (più del 30% del PIL), dimostrano con questo piccolo “golpe”, dunque, di non voler rinunciare al controllo politico dell’Egitto. Questo per loro significa anche potere di intraprendere azioni di politica estera congrue con gli interessi della propria industria bellica, una delle più importanti dell’intera area mediorientale.

Altri elementi importanti, poi, evidenziano come le istituzioni egiziane non si siano propriamente rivoluzionate. Stanti così le cose, con un parlamento decaduto ex officio, si può parlare di una timida “evoluzione”, lontana sì dalle culture politiche occidentali (si potrebbe definire “occidentalizzante”) e sempre all’interno dei canoni tradizionali egiziani, ma pur sempre un passo avanti nel pluralismo della vita politica egiziana. Ciò sarebbe testimoniato anche dai risultati elettorali che esprimono due pacifiche realtà di fatto: il primo è che le elezioni, nonostante una bassa affluenza alle urne, siano state relativamente regolari e democratiche e che il risultato non abbia portato a situazioni di scontro tra fazioni rilevanti; il secondo è che queste elezioni democratiche siano state il trionfo del conservatorismo o, meglio, una dialettica tra due vie conservatrici. Infatti, se è vero che il candidato di continuità diretta col vecchio regime ha perso (comunque col 48,3%), dall’altro, il partito del Presidente Giustizia e Libertà, per quanto legato di un movimento in clandestinità per 60 anni come i Fratelli Musulmani, non è certamente rivoluzionario. Qualche commentatore politico l’ha accostato al Tea Party americano, ovvero un partito fondamentalmente laico ma ispirato soprattutto da solidi valori religiosi e tradizionalisti. Probabilmente si tratta di un accostamento molto avventuroso, anche solo per le differenze teoriche alla base delle due religioni. Però, è vero che la possibile nomina di una donna e di un cristiano come vice-presidenti siano segnali politici di distensione e di rassicurazione per chi vede nei Fratellanza un pericolo per la laicità dello Stato.

Il nuovo Presidente, soprattutto, si troverà nella situazione di dover essere il contrappeso politico delle FA, e sarà molto interessante nei prossimi mesi osservare come l’Egitto, storicamente sempre governato da forti singole figure (con una tradizione che parte dai faraoni e che ha visto come ultimi protagonisti Nasser e Mubarak), concilierà la presenza sempre preponderante del CSFA al nuovo Presidente Mohammed Mursi.

 

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