di Francesco Forlin
In un bell’articolo recentemente comparso sul “Corriere della Sera”, Ernesto Galli della Loggia sviluppa la tesi di una certa contiguità fra le figure del “governo dei Professori” e quelle della cosiddetta “Destra Storica”.
Ecco, è questo uno dei casi nei quali rimpiango non avere messo mano alla penna onde evitare che qualcuno mi scippasse la primogenitura di un’idea. Ovviamente scherzo. Resta però il fatto che le persone che hanno la (s)ventura di essere sovente impegnate in discussioni politiche con il sottoscritto ultimamente mi sentono ripetere – piuttosto ossessivamente a onor del vero – questo refrain: «Come sarebbe bello se Mario Monti riuscisse a trasformarsi in una sorta di Quintino Sella redivivo!». Al che, di norma, ci si rammenta della tassa sul macinato, dei tumulti ai molini e nelle piazze, dei costi sociali del ministro dell’“economia fino all’osso”, del deficit democratico di una classe dirigente che avallò e promosse i massacri del generale Cialdini, della formazione e consolidamento di una borghesia nazionale sostanzialmente sorda alle legittime esigenze di equità e giustizia che provenivano dalle masse rurali. Tutto vero. Come, però, dimenticarsi della creazione, praticamente ex nihilo, di un sistema produttivo, infrastrutturale e, soprattutto, educativo nazionale? E come non trovare nelle meschinerie trasformiste di Depretis e nelle funeste smargiassate coloniali di Crispi un triste precedente della piccola, anzi piccolissima politica consociativa e votoscambista democristiana e mafiosa da un lato, e quello delle parole annunziate «all’Italia e al mondo» dal balcone di Palazzo Venezia dall’altro?
Gli è che Mario Monti, nel suo tono sussiegoso, in quell’odore di aula universitaria che proprio non riesce a togliersi di dosso, compie il miracolo di unire nell’antipatia sindacalisti e grillini, berlusconiani e socialisti d’ogni tempo, ossia l’insieme di coloro che o semplicemente recano sulle spalle il fardello di un fallimento epocale – i sindacati, il PDL, gli eredi di DC e PCI – oppure pretenderebbero additarne al popolo i responsabili nella sola classe politica. Come fanno il Movimento 5 Stelle e la sinistra antagonista. Ma – ed è questo il punto – le cose non stanno così. È troppo facile proseguire lungo la china dell’argomento garibaldino-mussoliniano-grillino secondo il quale da una parte c’è la massa degli sfruttati e dall’altra l’élite degli sfruttatori. Quella massa non esisteva oramai più: era stata cancellata negli anni Settanta dalla diffusione capillare del benessere nelle case degli italiani. Se ora torna drammaticamente ad esserci una parte cospicua della popolazione che versa in condizioni emergenziali, questo è stato reso possibile dalla silenziosa e benevola connivenza che ha accolto le azioni criminose con le quali politici, dirigenti e funzionari hanno distribuito prebende grandi e piccole, creando dal nulla milioni di posti di lavoro e nicchie di corruzione destinati ad essere occupati da milioni di uomini costretti a ripetere la coazione del voto di scambio proprio perché consapevoli di godere di un bene senza averne merito e capacità. Il che, però, è ben lungi dal fare di costoro degli “sfruttati”, trasformandoli anzi in volenterosi complici del massacro della cosa pubblica e dell’oltraggio al corpo dello Stato. Ed uno Stato ferito ed oltraggiato è incapace di dare sicurezza, così che cresce la tentazione, per ottenerne, di rivolgersi a parenti, ad amici, a fratelli di Loggia o di religione. Ma tutti preferirono guardare dall’altra parte e cavalcare la tigre dell’indebitamento pubblico, finché… Finché non giunse il momento della resa dei conti, ed ebbe il volto rotondo e gli occhi azzurri di Angela Merkel, di fronte ai quali buona parte del popolo sovrano pensò bene di riesumare un antigermanesimo valido per tutte le stagioni nell’inveire contro l’ennesima incarnazione della durezza teutonica che il sommo Benigni, oramai elevato al rango di vate nazionale, ebbe a definire fra applausi scroscianti e risate scomposte «punizione infernale dantesca». E giù a ridere, e giù a sfottere, e giù vignette su “Libero”. E giù a giocare la nostra partita non nel tentativo di imparare dai nostri errori ed imitare tedeschi, olandesi e finlandesi, ma in quello di solidarizzare con la caciara messa su da greci e spagnoli, in un perenne clima da “Bar Sport” in salsa derby Mediterraneo (culla della civiltà e del bel vivere) – Europa del Nord (culla di gente fredda e spietata che indossa i calzini bianchi sotto i sandali).
La durezza, si diceva. Ecco cosa manca davvero alla politica italiana. La durezza schietta di un partito conservatore capace di non inseguire ubbie e desideri del popolo, ma di fustigare le prime ed educare i secondi. La durezza di un Presidente del Consiglio in grado di imporre una ricetta a base di austerità e conti in ordine spiegandone ragioni e vantaggi e, soprattutto, l’indifferibilità a partire da errori e tatticismi elettorali vecchi di trent’anni. La durezza di una classe dirigente all’altezza di un compito arduo: quello di governare un popolo riottoso, abilissimo nel trovare per se stesso facili scappatoie e celere nello scrollarsi di dosso la responsabilità derivante dalla necessità di progettare il domani a partire dalle mancanze dell’oggi, un popolo subito pronto a strizzare l’occhio a chiunque si lasci sfuggire un sorriso dileggiatorio nei confronti di parole come “ordine”, “rigore” o “austerità”. Ben vengano, dunque, i diktat di Bruxelles. Ben venga l’ineludibilità del confronto con uomini come W. Schäuble ed O. Rehn nel momento in cui si mette mano alle leggi finanziarie. Dal momento che, come italiani, non riusciamo nemmeno ad impedire al governatore Raffaele Lombardo di assumere cinquanta “camminatori” in piena recessione revocando alla Regione Sicilia lo statuto speciale, né a denunciare l’evidente natura corporativista e di retroguardia della battaglia portata costantemente avanti dai maggiori sindacati italiani, non ci resta che sperare in un commissariamento da parte dei “virtuosi”. Sia italiani che europei. Perché dalle macerie ci si rialza solo con l’espiazione, non riscoprendosi vittime di una fascinazione universale ormai esauritasi come per magia, e l’espiazione o è un lavacro collettivo, o non è: non esiste, né mai esisterà, un popolo di governati che non sia chiamato a pagare per le colpe dei propri governanti. E allora: «Come sarebbe bello se Monti riuscisse a trasformarsi in una sorta di Quintino Sella redivivo!».
Commenti (3)
rebecca trabalza
Bell’articolo. Ma, ora? Come si sente dopo l’ incredibile rimonta di B. alle elezioni? Più scisso della coscienza infelice? Peggio di Thomas Buddenbrook a quarant’anni? Comunque, anch’io ho votato Mario.
rebecca trabalza
Dimissioni di Monti
“Tu quoque, Casini mi!” Mario Cesare Monti pugnalato a tradimento dal cicisbeo voltagabbana.
rebecca trabalza
Dimissioni di Monti
“Tu, quoque Casini mi!” Mario Cesare Monti pugnalato a tradimento dal cicisbeo voltagabbana.