di Antonio Capitano
“Possa il giorno che va, insegnare a tutti quello che è necessario a farsi nel giorno avvenire in benefizio della Patria!”. Sono parole di Carlo De Cesare; correva l’anno 1865 e il suo libro “Il passato, il presente e l’avvenire della pubblica amministrazione nel Regno d’Italia” è quanto mai attuale. E di lucida attualità sono ancora di più le parole seguenti riferite alla necessità di una buona amministrazione: “[…] a questo arduo e difficile compito di creare un’amministrazione semplice, rapida e fruttuosa in Italia […] sottoponiamo alla considerazione dei sapienti, degli abili amministratori, ed al giudizio di tutti i nostri concittadini il frutto delle nostre pazienti lucubrazioni intorno all’avvenire della pubblica amministrazione italiana dopo una rapida disamina del passato e del presente indirizzo governativo”.
Semplice, rapida e fruttuosa. Quante riforme hanno inseguito questo obiettivo? Da cosa dipende il suo “cambio di immagine”? La P.A. da sempre gode di pessima reputazione perché ogni giorno il cittadino si scontra con un ufficio, uno sportello un servizio che la rappresenta. E a poco servono esempi virtuosi. In questo campo più che mai la generalizzazione è la regola che soppianta le eccezioni e le eccellenze. Chi ha a cuore il buon andamento della P.A. non può non sentirsi ferito o offeso da giudizi assolutamente negativi dai cittadini troppo frettolosamente chiamati utenti. Anche perché il concetto di utenza è ormai obsoleto e definisce una sorta di “classe” sottoposta alle “lucubrazioni” di “pubblici amministratori” il cui compito fondamentale è quello di dare risposte attraverso quella certezza del diritto e dei diritti che rendono un Paese non solo bene amministrato, ma anche civile.
Purtroppo, come è stato evidenziato da eminenti autori, la storia amministrativa italiana è caratterizzata da patologiche negatività le quali meriterebbero da sole un ampia trattazione. Tuttavia, dovendo fare una breve comparazione, Sabino Cassese ci ricorda, con efficace sintesi, che “da un lato, vi sono Francia e Inghilterra, dove al momento delle maggiori svolte politiche, sociali, economiche, si trovano amministrazioni pubbliche (sia pure nei modi diversi tipici di un paese di struttura ètatiste e di un paese, al contrario, senza Stato); dall’altro, vi è l’Italia, nella quale l’amministrazione pubblica non ha un posto trainante, ma è trainata”. E Cassese aggiunge che un altro tratto distintivo negativo dell’amministrazione italianaè costituito dall’assenza di una èlite dirigente. Altro punto fermo è anche quello che si può definire la “precoce frammentazione dello Stato”. Basti pensare al riguardo all’attuale esponenzialità delle società pubbliche locali quali panacea per i costi della politica o le sistemazioni della politica. Veri e propri strumenti del consenso che hanno sparpagliato la struttura statale parcellizzandola in tanti rivoli fuori controllo con la principale conseguenza di privare dei servizi il cittadino costretto – secondo la incisiva valutazione di un recente rapporto IRPA – a pagare due volte, spesso senza alcun beneficio in termini di soddisfazione.
Anche questo aspetto è stato autorevolmente esaminato da Cassese, il quale rileva che “questa frammentazione risponde a un’esigenza di fuga dallo Stato, dominato da regole e principi obsoleti. Ed è all’interno di un circolo vizioso. Se si fossero fatte le riforme amministrative, a partire da quelle, numerose, messe a punto nel primo dopoguerra, non sarebbe iniziata la fuda dallo Stato. Se quest’ultima non fosse iniziata, da un lato, vi sarebbe stato un servizio pubblico più robusto; dall’altro, non avrebbero preso piede enti pubblici più potenti dello Stato stesso, veri e propri feudi, al fondo interessati a perpetuare la debolezza dell’amministrazione centrale”.
Orbene, nel tempo lo status di debolezza, di vulnerabilità ha aperto facili attacchi alla Pubblica Amministrazione che ha di fatto oscurato il comportamento virtuoso di molti pubblici funzionari i quali con capacità e merito hanno svolto un ruolo di primo piano per difendere un’immagine spesso non corrispondente alla realtà. Certo è che in tempi di revisioni è necessario rivedere per l’appunto caso per caso la P.A. dall’interno senza la tentazione di usare argomenti generali che penalizzino casi di eccellenza o semplicemente “regolari”. Questo aspetto non è di poco conto poiché le situazione derogatorie sono state la principale causa per cui, spesso, l’applicazione delle regole è stata penalizzata con tutte le conseguenze queste si sotto gli occhi di tutti.
Un piacevole scritto di Guido Melis ci porta a conoscenza di alcuni esempi poco virtuosi che oggi si potrebbero definire con un “copia e incolla”; ovvero anche in tempi lontani c’era una concezione della vita burocratica in chiave umoristica e deformante con “l’idea che lo stile amministrativo si imparasse ricalcando le orme dei predecessori, anzi letteralmente copiandone gli scritti, appartenne in effetti al modello dominante della formazione burocratica italiana”.
E’ chiaro che molti scritti divenirono comportamenti per cui una gran parte di questi impiegati hanno evidentemente ispirato l’agire di altri e di altri ancora. Spesso nel tempo queste figure sono state le prime con il quale il cittadino ha interagito e la reputazione di un ente spesso importante è stata rappresentata da queste figure. L’impatto con una pubblica amministrazione poco efficiente è capitato a tutti; basti accennare a titolo di esempio all’inadeguadezza anche informatica quale strumento di dialogo o di snellimento per il cittadino. Tuttavia, in questa breve riflessione ciò che interessa esaminare è il momento della selezione e della formazione della classe dirigente e non solo. Tralasciando le scuole di eccellenza francesi ed inglesi per rimanere in Europa, in Italia la formazione, l’educazione all’amministrazione non è mai stata considerata fondamento di quello che oggi è possibile definire new public management. Una P.A. al passo con i tempi nel rispetto però del grande e importante lavoro svolto da eminenti studiosi (un esempio per tutti Massimo Severo Giannini con il noto e innovativo Rapporto) che hanno creduto in un vero riformismo anche nel nostro Paese. Per dirla con le parole di Giorgio La Pira vi è la necessità della “costruzione della città nuova intorno alla fontana antica”. La stagione delle riforme degli anni 90 aveva aperto strade concrete per un reale rinnovamento della P.A. Purtroppo però alcuni processi non si sono mai definiti o hanno subito deformazioni in corso d’opera. Si pensi all’istituto della Conferenza dei servizi o alla desiderata separazione tra politica e amministrazione i cui rispettivi confini spesso si uniscono per le “anomalie” del sistema..
Altra questione è la “parabola” del merito. Sul punto si fa ricorso ad uno scritto interessante di Ignazio Visco e Piero Cipollone. “Valorizzare il merito” affermano gli autori non equivale, comunque, a richiedere un’organizzazione sociale esclusivamenente fondata su un sistema “meritocratico”. Se questo costituisce uno strumento importante per consentire alla società di avvicinarsi il più possibile all’uso efficiente delle risorse produttive, non esclude affatto il momento redistributivo, anzi lo rafforza spingendo a quella “uguaglianza delle opportunità” spesso invocata ma mai messa in pratica”.
L’uso oculato delle risorse, la capacità di amministrare, di dirigere diventano un punto di svolta di una pubblica amministrazione che vuole cambiare pelle. Sono eclatanti gli esempi di lunghe attese nel campo sanitario per effettuare spesso esami strumentali semplici. Il ricorso a strutture private è sovente la soluzione allo smarrimento di chi in stato di necessità, anche in difficoltà economiche, deve ricorrere alla cure. In tempi di spending review, di razionalizzazione di costi un ruolo fondamentale deve essere svolto da chi materialmente deve assicurare i servizi. Ed è chiaro che in questo quadro servono Alte Professionalità che rivoluzionino l’impatto con una pubblica amministrazione che ci segue dalla nascita alla morte. Per questo è fondamentale tornare al concetto di classe dirigente, la quale per Bertrand Russell è lo specchio della società. Questa classe è stata da sempre caratterizzata dall’interesse a durare piuttosto che a decidere. Per anni si è consolidato il sistema delle consulenze, dei professionisti del consiglio che evidentemente hanno portato più risultati privati che pubblici… E anche in questo caso Sabino Cassese ci rammenta come “Ogni volta che si è cercato di introdurre un sistema che conducesse i migliori direttamente al vertice, le resistenze hanno o impedito o fatto fallire il disegno. Questa configurazione del sistema è dovuta, in larga misura, al sindacalismo amministrativo, sempre piuttosto alto, fin dall’età giolittiana, e che ha coinvolto non solo i gradi bassi, ma anche quelli medi della burocrazia. Questo ha visto sempre con sfavore la costituzione di un èlite amministrativa.”
Capacità, merito, gestione oculata delle risorse umane e strumentali con il costante faro dell’etica pubblica: semplici e fondamentali elementi per una pubblica amministrazione che può finalmente mostrarsi davvero nuova, per una vera riforma da tutti attesa.
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