di Francesca Varasano

“Quanto strano gli sembrò tutto questo, e quanto le occupazioni precedenti più significative di quelle attuali, la preparazione all’impiego superiore all’impiego stesso! Si sentì rattristare al ricordo della scuola”: così rifletteva Andrej Ivanovič Tentetnikov nel secondo libro de Le anime morte di Gogol’.

Andrej Ivanovič aveva vissuto la carriera accademica come una preparazione alla vita vera, che sarebbe arrivata soltanto con l’impiego pubblico; quando Gogol’ lo presenta ai lettori ha trentratrè anni e si aggira mesto, tutto il giorno in vestaglia da camera, per il palazzo di Tremalachan’. Un precettore gli aveva insegnato l’arte di imparare e se ne era servito progressivamente fino ad arrivare, appunto, all’impiego per cui sentiva che la sua intera esistenza l’aveva preparato, scontrandosi però con una realtà banale, con l’adulazione degli impiegatucci, la nausea all’abitudine.

L’esperienza di Andrej Ivanovič, che Gogol’ descrisse intorno al 1850, è carica di un malessere universale che si nasconde ma acuisce in presenza di grandi crisi economiche e contrazioni del mercato del lavoro.

Le anime morte, originariamente ispirato alla Divina Commedia, avrebbe dovuto rappresentare l’ascesa di una Russia corrotta e degenerata verso un avvenire migliore. Il viaggio dell’antieroe Čičikov alla ricerca delle anime dei morti sfuggite al censimento è costellato da una climax di personaggi grotteschi, mostri orrendi che incarnano le deformità dell’animo umano. Come è noto, dopo poche pagine del secondo libro – un ideale Purgatorio – Gogol’ rinunciò al proprio progetto letterario e a credere che la Russia a lui contemporanea avesse possibilità di redenzione.

Nikolaj Gogol’ stesso non era estraneo al vissuto di Tentetnikov: deluso dalla carriera burocratica prima e da quella universitaria poi, si sarebbe dedicato alla scrittura e ai viaggi, consumato però dall’ipocondria e dalla depressione.

Nel 2012 la Federazione Russa gode, secondo le stime OCSE, di una crescita relativamente stabile e disoccupazione in calo lieve ma costante, forte dell’appartenenza al gruppo dei paesi BRIC di nuovo e rapido sviluppo economico. Il nostro paese, d’altro canto, attraversa come è noto una fase acuta di crisi finanziaria, economica, e, non da ultimo, occupazionale. Mentre le stime della disoccupazione sono riviste al rialzo, i dati dei giovani che non studiano, nè sono alla ricerca d’un’occupazione sono in continua crescita e sugli stipendi grava una pressione fiscale effettiva che un recente studio di Confcommercio ha definito come la più alta al mondo.

Come i loro colleghi spagnoli o greci, i giovani italiani occupati hanno spesso contratti rocamboleschi e non è raro che si destreggino fra più impieghi. Eppure nell’attuale congiuntura economica i venti – trentenni con un impiego, ancor più se stabile, sono a volte portati a sentirsi dei privilegiati in debito con la società anzichè forza lavoro che contribuisce alla ricchezza nazionale. Il malessere fisiologico di Tentetnikov, gli interrogativi sui propri talenti, sulla vocazione, il rimpianto per l’amore allo studio raramente trovano spazio ma si scontrano con l’angoscia per il futuro, le rate di un mutuo, le varie forme di depressione.

Studio illegale, romanzo del 2009 di Federico Baccomo ispirato ad un fortunato blog, coglie un’instantanea impietosa di questa realtà. Il protagonista, trentenne come l’autore, si definisce un avvocato d’affari per evitare ulteriori domande sulla sua professione. È perso in una Milano in cui si lavora fino a notte fonda, si mangia sushi e si parla un assurdo argot italo-inglese nel continuo affanno alla rincorsa dei mercati europei e mondiali. I protagonisti, che siano quadri aziendali o tirocinanti, sono corsi dietro a rinnovate ambizioni fino a dimenticarsi quali fossero, o perchè le rincorressero. Una pesante malinconia fa da sfondo ai ricordi delle speranze all’uscita dall’università, al primo curriculum che sfacciatamente riportava interessi e obiettivi professionali. Nell’Italia del ventunesimo secolo, al limbo di un lavoro svuotato di significato il giovane avvocato contrappone un’ironia salvifica e il senso del ridicolo per l’inconsistenza delle parole altisonanti, le reazioni spropositate, la mancanza di buon senso, esorcizzando l’assurdo.

Nell’affresco di Gogol’, i personaggi del secondo libro erano coloro da cui sarebbe ripartita la speranza per la Russia. Tentetnikov non è un archetipo come il cialtrone Nozdrëv, ma un giovane uomo piegato da immensi dubbi posti dalle prospettive e dalle promesse della vita a cui solo l’incompiutezza dell’opera nega la possibilità di un riscatto. Il tentativo di risposta a queste grandi domande è un compito che trascende qualunque professione e dare un senso profondo alle proprie occupazioni è la conquista d’una vita intera.

La depressione economica può rimandare gli interrogativi dell’animo umano in favore di altri, più pressanti; eppure, interviene Gogol’ a proposito di Andrej Ivanovič, “la giovinezza in tanto è felice, in quanto possiede l’avvenire”.

 

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