di Giuliano Gioberti
Per chiudere un qualunque contratto o accordo – si tratti di un matrimonio, dell’acquisto di un auto, dello scambio di case per le vacanze tra famiglie, del prestito di libri tra amici – bisogna che le due parti si fidino, almeno un poco, l’una dell’altra. Difficile trovare un’intesa se si pensa – reciprocamente – che l’interlocutore sia animato da chissà quali nascosti intendimenti.
Ecco spiegato, a partire da questa regola elementare, il perché i partiti non riescano a mettersi d’accordo su una nuova legge elettorale. Che tutti dicono di volere, ma che non vede la luce proprio a causa del clima di sospetto e diffidenza che vige tra i due maggiori partiti e che negli ultimi giorni è arrivato a sfiorare la paranoia.
Il Pdl berlusconiano è convinto che il Pd, reso baldanzoso dai sondaggi e ben intenzionato a sfruttare la crisi di credibilità in cui si trova attualmente il centrodestra, voglia andare al voto anticipato, il prossimo novembre, con l’attuale legge elettorale. A dispetto delle dichiarazioni di Bersani, che dice di voler approvare nuove regole per il voto con il massimo consenso parlamentare, la sua vera convenienza sarebbe, infatti, di tenersi il famigerato Porcellum: potrebbe così sfruttare a suo favore il ricco premio di maggioranza che andrebbe alla coalizione di centrosinistra in caso di vittoria e potrebbe altresì scegliersi parlamentari a lui fedeli con il meccanismo delle liste bloccate.
Il Pd, dal canto suo, accusa gli avversari di giocare pericolosamente su un doppio tavolo. Da un lato Berlusconi sostiene il governo Monti insieme ai democratici e ai centristi di Casini. Dall’altro sta cercando – proprio sul tema delle riforme elettorale e istituzionale, che per definizione dovrebbero implicare una vasta convergenza parlamentare ed escludere intese nell’interesse di una parte sola – di ricostruire l’antico rapporto con la Lega in vista di un nuovo accordo elettorale.
Il rischio – sostengono molti democratici – è che il centrodestra finisca per votare a maggioranza in Parlamento una legge elettorale il cui obiettivo (ovviamente non dichiarato) sarebbe quello di rendere pressoché obbligatoria, anche nella prossima legislatura, la “strana maggioranza” che sostiene attualmente l’esecutivo tecnico. Convinto di perdere alle urne, il Pdl si accontenterebbe insomma di non far vincere Bersani, costringendolo – attraverso qualche inghippo contenuto nella legge elettorale – ad una coabitazione forzata spacciata per “grande coalizione”.
Ma nel Pd c’è anche chi sostiene (ad esempio Giuseppe Fioroni) che la vera convenienza di Berlusconi, che ancora spera di rimettere insieme la sua vecchia coalizione e di farla vincere alle urne, è quella di tenersi a sua volta il Porcellum. E ciò, curiosamente, per le stesse ragioni – premio di maggioranza e liste bloccate – che, secondo il centrodestra, rendono questa sistema di voto segretamente conveniente anche per Bersani. Il fatto che il Pdl abbia di recente alzato la posta in materia di legge elettorale – proponendo l’introduzione delle preferenze d’intesa con la Lega e venendo così meno a quanto concordato in precedenza con il Pd – sarebbe appunto la prova che Berlusconi si appresta a far saltare il tavolo della trattativa con la malcelata intenzione di tenersi lo status quo.
Insomma, nell’atteggiamento e nelle scelte dei due principali partiti ciò che sembrano prevalere, in materia di riforma della tecnica di voto, sono orami i cattivi pensieri, le riserve mentali e il sospetto che l’avversario voglia fare il furbo. Altro che lo spirito di collaborazione più volte invocato dal Capo dello Stato (e ribadito nuovamente ieri in un accorato e perentorio appello alle forze politiche) o la visione di sistema e il senso dell’interesse generale che dovrebbero orientare la classe politica tutte le volte che si modificano le regole del gioco elettorale!
Il che porta a concludere, considerato il clima politico e il poco tempo a disposizione, che abbiamo dinnanzi a noi due sole strade: o nessuna legge elettorale o una cattiva legge elettorale (che potrebbe persino farci rimpiangere il Porcellum).
Nel primo caso, il più probabile per come si stanno mettendo le cose, tutto resterà com’era. I partiti si accuseranno reciprocamente di aver affossato ogni tentativo di riforma e si terranno una legge ufficialmente da tutti vituperata, ma che segretamente i vertici e le segreterie hanno sempre visto con favore. Inutile dire che in questo caso verrebbe offerto alle forze antisistema (a partire da Grillo) uno straordinario argomento propagandistico. Dopo mesi passati a promettere una nuova legge elettorale agli italiani, un eventuale fallimento dei propositi di riforma come verrebbe accolto da questi ultimi?
Nel secondo caso, una nuova disciplina per il voto sarà o il frutto di un blitz parlamentare del centrodestra (dunque una legge votata a maggioranza e destinata ad essere pesantemente contestata dal centrosinistra) o il risultato di un accordo al ribasso tra partiti che, vista la loro intrinseca debolezza e lo scarso credito di cui godono agli occhi degli elettori, avranno deciso di garantirsi una sicura e significativa presenza in Parlamento anche a costo di determinare una situazione di sostanziale ingovernabilità (da superare, nei loro piani, dando eventualmente, vita ad una nuova maggioranza trasversale, giustificata da uno stato di crisi economica destinato a perdurare anche nel l’immediato futuro).
A null’altro che a questo tende, infatti, il modello proporzionale di legge elettorale sul quale, alla fine, si potrebbe persino trovare un accordo: a salvare i partiti attualmente presenti in Parlamento dall’onda del discredito popolare e a costringerli ad unire le loro forze dopo il voto a sostegno di un nuovo governo tecnico. Ma se questa è l’intenzione forse ci si dovrebbe risparmiare lo spettacolo di una campagna elettorale “fuoco e fiamme”, nella quale destra e sinistra si accuseranno di ogni nefandezza salvo trovarsi il giorno dopo all’interno della stessa maggioranza.
In ogni caso, dobbiamo scordarci, in questa legislatura, di una legge elettorale utile a rimettere in equilibrio un sistema partitico-istituzionale che da mesi da segni crescenti di disgregazione e che funziona sempre peggio. Questa possibilità è esistita nei mesi scorsi. Quando il governo Monti, appena insediatosi, ha cominciato ad occuparsi dei dossier economico-sociali più scottanti, le forze politiche si sarebbero dovute occupare delle riforme istituzionali e di una nuova disciplina elettorale. Quel tempo purtroppo è stato malamente sprecato e siamo qui oggi a lamentarcene inutilmente.
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