di Gianni Ferracuti

Le parole sono importanti: non solo perché lo diceva Nanni Moretti, ma anche perché creano l’immagine della realtà entro la quale viviamo. E ai mercanti dell’informazione basta un neologismo per confondere una popolazione. Per esempio, il termine “fondamentalismo”. Lo associamo a enormi masse islamiche ansiose di sterminare gli occidentali, ma il termine nasce negli Stati Uniti per indicare, soprattutto in ambito protestante, una interpretazione letterale e reazionaria della Scrittura.

Il fondamentalismo nasce all’interno della chiesa battista che, se non ricordo male, era la confessione religiosa del presidente Clinton, e consiste nel rifiuto di ogni studio scientifico del testo sacro: non solo di studi fatti da laici, ma anche, se non soprattutto, degli studi fatti da biblisti cattolici o ebrei. I più prestigiosi istituti universitari del mondo cattolico ed ebraico non avrebbero alcun valore perché un pastore battista ha stabilito che la Bibbia va presa alla lettera e Dio non parla per metafore.

Si comincia a parlare di fondamentalismo islamico in riferimento alla repubblica islamica dell’Iran che, avendo abbattuto il regime filoamericano di Mohammad Reza Pahlavi, propose l’islam come base culturale del nuovo stato. Reza Pahlavi, sostanzialmente, aveva svenduto il Paese all’occidente, lo aveva portato al disastro economico, e aveva attuato una politica di repressione contro gli esponenti religiosi che si opponevano al suo esasperato laicismo e allo sfruttamento capitalista delle risorse del Paese, oltre che contro i movimenti di ispirazione democratica. Essendo alleato dell’occidente, nessun giornale si dilungava nella descrizione degli arresti e delle torture, che erano normalità quotidiana durante il suo governo: pareva più urgente informare le masse sulla vicenda della sua seconda moglie, Soraya Esfandiary Bakhtiari, ripudiata perché non gli aveva dato un figlio, e della terza, Farah Diba, che di figli gliene diede quattro, equamente ripartiti tra maschi e femmine. Dunque, Reza Pahlavi era un illuminato governante, mentre l’Ayatollah Khomeini, ispiratore della Repubblica Islamica, era un fondamentalista.

Ora, se fondamentalista significa reazionario, o restauratore, di tutto si può accusare la Repubblica Islamica, tranne che di questo crimine. Piacciano o no, le sue istituzioni sono assolutamente originali nel mondo islamico ed è più corretto intenderle come una rivoluzione islamica.

Di Khomeini conosciamo bene le malefatte: per esempio che impose l’obbligo del velo alle donne. Conosciamo male le innovazioni: per esempio, che, grazie al velo, le donne furono autorizzate a girare liberamente, senza chiedere il permesso di uscir di casa a padri o mariti, e furono ammesse all’istruzione, tant’è che a tutt’oggi sono mediamente più colte degli uomini. Sarebbe stato bello che gli esperti avessero spiegato alcuni tratti tipici dell’islam in generale e dello shi’ismo in particolare. Per esempio, nei suoi precetti formali la legge islamica (sharī‘a) prevede la pena di morte per reati come l’omicidio, l’adulterio, la bestemmia e l’apostasia: ma è molto frequente che la sharī‘a sia considerata come un codice di comportamento etico, senza potere coercitivo, e che, dove viene formalizzata come legge dello stato, non sia applicata alla lettera, essendo abitualmente la pena di morte sostituita da risarcimenti o pene alternative. In Iran si eliminano gli oppositori, ma nessuno perde tempo a lapidare le adultere.

In compenso, in Arabia Saudita la sharī‘a è applicata ed estesa oltre l’ambito tradizionale (per esempio, si punisce con la pena di morte l’omosessualità) – ma non se ne parla, trattandosi di alleati dell’occidente. Il rispetto dei diritti umani è probabilmente maggiore in Iran e la vita ha tratti più moderni, ma si tratta di un nemico dell’occidente, e quindi è un paese fondamentalista e criminale. Invece non viene mai messo in questione il rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita, che è un paese ultrafondamentalista, e dove non si sono mai svolte elezioni politiche.

Fondamentalisti si dicono i terroristi di al-Qā’ida, che la stampa assimila ai talebani afgani, i quali, a loro volta costituirebbero un blocco unico, l’opposizione alle truppe di occupazione occidentale, che esportano la democrazia. In realtà, i talebani furono appoggiati dall’occidente contro l’armata rossa che occupava l’Afganistan, e il loro regime fu combattuto da molti mujaheddin, tra cui Ahmad Shah Massoud, già leader della resistenza contro i sovietici. Nel mondo islamico, le simpatie popolari per al-Qā’ida sono scarse, anche se il movimento è costantemente in prima pagina sui giornali occidentali per i suoi attentati, veri o attribuiti. Se avesse consenso popolare, non praticherebbe il terrorismo, in analogia con quanto fanno i fondamentalisti di Hamās, che partecipa alle elezioni e le vince con una certa frequenza, o Hezbollah. Sono, questi, gruppi talmente reazionari e retrogradi, che organizzano scuole, ospedali, assistenza pubblica e forme avanzate di stato sociale (notoriamente previsto dal Corano): per fare proseliti, dicono i giornalisti occidentali – e, in tal caso, dove sarebbe il peccato?

Infine è fondamentalista un gruppo che si è segnalato recentemente in diverse azioni, tra cui l’attacco all’ambasciata americana al Cairo: gli ultras di una squadra di calcio locale.

Ora, per mettere ordine in questo caos, invece del termine fondamentalista, talmente equivoco da aver perso di significato (se mai l’ha avuto), proviamo a usare una parola semplice, chiara e adeguata della lingua italiana: fanatico. Ecco che il quadro caotico diventa ordinato. Fanatico può essere un cattolico, un ebreo, un musulmano, un tifoso del calcio, ma con questa parola l’accento non cade sulle idee di partenza (il cattolicesimo, l’ebraismo, l’islam, il gioco del calcio), ma sul modo in cui esse sono deformate.

Il problema è che questa parola semplice non va bene agli strateghi della comunicazione: toglie chiarezza alla distinzione amico-nemico, che è essenziale per controllare la popolazione. Il concetto di musulmano fanatico implica, necessariamente, che esista una maggioranza di musulmani “normali” e per bene, con i quali non abbiamo motivo di essere ostili, e che costui non ci sia più nemico di un membro del Ku Klux Klan, o del nazista che spara agli studenti in una scuola occidentale. Insomma, implica che non esista alcun conflitto tra le civiltà e le religioni, ma solo una “guerra” contro la barbarie, condotta da tutte le civiltà e tutte le religioni. Ma pare che dire questo non sia politicamente corretto.

 

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