di Angelica Stramazzi
Si sente da più parti ripetere che la Terza Repubblica inizierà dopo l’esito del voto delle elezioni politiche del 2013 quando, archiviata (davvero?) l’esperienza tecnica del governo Monti, le forze politiche torneranno in campo, cercando (la maggioranza uscita vincitrice dalle urne) di applicare quanto promesso agli elettori in campagna elettorale e (l’opposizione) di contrastare l’azione del futuro governo con proposte alternative. Fin qui tutto liscio, ammesso e non concesso che si venga effettivamente a formare un tale quadro, mentre resta più probabile, vista l’incertezza e la frammentazione interna ai maggiori partiti, un possibile reincarico a Mario Monti sulla base della sua (personale) capacità di riscattare il nostro Paese sul piano internazionale, facendo guadagnare all’Italia quella credibilità che sembrava aver smarrito in passato.
Tuttavia, nel tentare di ipotizzare scenari e trasformazioni politiche future, alcuni osservatori – e prima di questi non pochi politici, va da sé – dimenticano (o forse ignorano del tutto) che parlare di Terza Repubblica non solo non risulta corretto, ma è ad ogni modo illusorio, in quanto lascia credere ai più che una seconda stagione di vita repubblicana, dopo lo scandalo di Mani Pulite, sia definitivamente archiviata. Detto e precisato questo dunque, l’espressione “Terza Repubblica”, se usata per soli fini di esemplificazione linguistica, potrebbe tutt’al più accettarsi, mentre la stessa cosa non si potrebbe fare se tale formula linguistica venisse traslata sul piano della storia politica (e partitica) del Paese.
Come infatti molti sapranno, nelle moderne e mature democrazie europee, i cambiamenti del quadro politico vengono accompagnati – o comunque anticipano – da conseguenti mutamenti sul piano istituzionale. Più esplicitamente: se le varie formazioni politiche virano verso una semplificazione di tipo bipolare, per cui si mandano in soffitta (davvero?) le mille camarille e gli altrettanti partitini dello zero virgola qualcosa, è chiaro che sul piano delle riforme istituzionali si dovrà procedere di conseguenza, adottando misure e provvedimenti in grado di definire un assetto presidenziale – o semipresidenziale – del sistema e non già il mantenimento di uno di tipo parlamentare. Dal momento che in Italia, a differenza di quanto accaduto ad esempio in Francia con la nascita della V Repubblica, tutto ciò non si è verificato, mentre si è continuato a legiferare all’interno di una cornice parlamentare con un sistema bicamerale perfetto, con un Presidente del Consiglio dotato di poteri non abbastanza incisivi ed efficaci come invece i tempi storici – e non le degenerazioni democratiche come afferma qualcuno – richiederebbero, non è corretto parlare di avvento della Terza Repubblica semplicemente perché la Seconda, di repubblica, è nata infelice, priva di sostanza e di reale fondamento. In buona sostanza, ci troviamo di fronte ad una sorta di «eutanasia di un potere», per utilizzare il titolo di un libro di Marco Damilano, notista politico dell’Espresso: un ciclo non si è ancora definitivamente concluso, e l’inizio di una nuova stagione reca in sé la virulenza e le criticità di (non pochi) aspetti negativi del periodo precedente che invece dovrebbero finire per essere archiviati.
L’esito delle elezioni politiche del 2013 non ci consegnerà la Terza Repubblica: finché il sistema istituzionale non muterà in senso presidenziale o semipresidenziale, continueremo a fare i conti con una Seconda Repubblica nata – e cresciuta – sulle ceneri di scandali politici che, come ha avuto modo di sottolineare il Guardasigilli Paola Severino, sono ben più gravi e preoccupanti di quelli manifestatisi vent’anni fa.