di Manlio Lilli

È incredibile quanto la politica, anche quella internazionale, attenta ai problemi del presente, spesso tralasci di ritornare a ragionare su questioni del passato. Se non utilizzando stantii cliché. Offrendo concretamente esiguo spazio a questioni tutt’altro che marginali. Sostanzialmente ignorando progetti, talvolta avviati ma non portati a termine, che se considerati avrebbero l’indubbio merito di fare un po’ di chiarezza. Sulla questione specifica, innanzitutto. Ma anche sulle strategie messe in campo da partners e competitors. Immergersi nella storia segreta degli affari mancati può diventare così l’occasione per osservare i paletti che i Paesi dell’Alleanza Atlantica si sono alzati vicendevolmente.

Un esempio di questa storia segreta è la ricostruzione delle missioni dell’inviato della Comit e di Mediobanca a Teheran tra l’agosto 1952 e il gennaio 1953 (Fulvio Coltorti, Leo Valiani ed Enrico Cuccia: l’Iran degli anni ’50, Annali della Fondazione Ugo La Malfa, XXVI, 2011).

Come racconta Coltorti, che ha guidato per decenni l’area studi di Mediobanca, in quei mesi l’antifascista Valiani fu inviato dai due istituti di credito milanesi nella capitale iraniana allo scopo di costruire una banca per le esportazioni che aiutasse il Paese mediorientale a emanciparsi dalla monocoltura del petrolio. La ricostruzione della vicenda è saldamente ancorata ad una documentazione finora inedita. Al contempo utilizzando la fitta corrispondenza di Valiani con i suoi referenti in Comit (Carlo Bombieri e Giuseppe Zuccoli) e in Mediobanca (Cuccia) e altro materiale emerso dalla ricognizione degli archivi di Intesa Sanpaolo e Mediobanca. Nel complesso un testo di rilevante interesse. Tanto più considerando il contesto del tempo.

L’Iran aveva già assunto un ruolo preminente come esportatore di petrolio. L’Anglo Iranian Oil Company, nota ora come Bp, aveva detenuto per oltre mezzo secolo il monopolio dei pozzi. Una società controllata dalla Corona inglese fin dal 1914 per iniziativa di Winston Churchill. I larghi profitti assicurati da contratti capestro subirono un primo contraccolpo nel 1944 quando gli Alleati avevano favorito la formazione di istituzioni democratiche. Ma il vero tracollo arrivò nel 1951 quando il Parlamento di Teheran varò la nazionalizzazione del monopolio che prese il nome di National Oil Company. La reazione britannica fu rabbiosa e si esplicitò variamente. Ma non poté contemplare l’occupazione militare dei campi petroliferi, a causa della contrarietà degli Usa, decisi a non rinunciare al Point Four Program, un piano di aiuti ai Paesi poveri escogitato per opporre una controffensiva all’influenza sovietica.

La nazionalizzazione del petrolio nasceva dall’idea di Mohammad Mossadegh, un ricchissimo giurista, di modernizzare la società iraniana. Restando però dentro le nuove istituzioni. Un’idea che però dovette fare i conti con le conseguenze delle misure britanniche. Il crollo della produzione e della esportazioni petrolifere.

Nel baillame furono coinvolte anche le petroliere italiane. La “Miriella”, attraccata fortunosamente a Porto Marghera, a seguito delle cause inglesi passò di proprietà, dalla società armatrice Supor all’Eni. La petroliera “Rose-Marie”, del conte Della Zonca, dirottata ad Aden ed il suo carico sequestrato.

In questo contesto, con gli inglesi prepotentemente impegnati a rivendicare i loro presunti diritti, Comit e Mediobanca decidono di inviare Valiani in Iran. Nel tentativo di trovare degli spazi all’industria italiana.

D’altra parte la rottura tra Teheran e Londra aveva portato alla liquidazione della British Bank of Iran e questo creava i presupposti per la creazione di una banca analoga con un’ampia partecipazione di Mediobanca e la garanzia Comit. Il progetto finanziario, legato ad investimenti nella logistica dei porti di Bandar Shapur e Korraamshar, viene avviato con la Banca Mellie, cioè la Banca Centrale dell’Iran, le Generali e le Assicurazioni Iran. Come narra Coltorti, Valiani incontra Mossadegh e il responsabile americano del Point Four. E immediatamente dopo scrive a Cuccia una lettera nella quale esalta l’operazione sottolineando come “L’Italia tornerebbe ad essere acquirente di petrolio iraniano (…) e forse lo sarebbe ben più di prima”. Non soltanto. “(…) Soprattutto nel campo del rinnovo degli impianti e dei mezzi di trasporto, l’autonomia conquistata dai persiani avrebbe ripercussioni straordinariamente interessanti per gli industriali di Paesi come il nostro: il macchinario, il naviglio, i mezzi di trasporto terrestri, le molteplici attrezzature sussidiarie, i beni di consumo diretti per la parte che la Persia non produce, non verrebbero più necessariamente dalla Gran Bretagna (…)”.

Un bel progetto quello italiano. Proprio per questo da contrastare. In ogni modo. E’ così che gli inglesi con la “benedizione” del nuovo presidente americano, Eisenhower, danno vita al British Secret Intelligence Service, per rovesciare la recente democrazia iraniana e riportare al potere lo scià Reza Pahlawi.

L’Italia rimase al palo. Troppo fragile militarmente per opporre qualsiasi resistenza.

Mossadegh, l’eroe mancato di una stagione tenebrosa, finito agli arresti domiciliari per volere dello scià. Nel giorno del dodicesimo anniversario della morte, avvenuta nel 1967, un milione di persone visitarono la sua tomba. Il sentimento antiamericano e antibritannico di quel popolo è stato senza dubbio alimentato anche da episodi come quello. Un episodio nel quale il confine tra diritto e interessi si fa davvero troppo “sfuggente”.