di Danilo Breschi

È sempre un utile esercizio politologico avanzare ipotesi di scenario futuro, a breve-medio termine, non oltre. Si verrà un po’ meno al rigore analitico della scienza politica (disciplina che ritengo preziosa e, ahimè, scarsamente praticata dal mondo politico e giornalistico), comunque forma nomotetica di sapere, ossia tesa a stabilire leggi generali di tendenza (probabilistica), ma con ciò non si intende nemmeno scadere nella futurologia. Piuttosto si vuol qui fare quel che spetta, o spetterebbe, al giornalismo politico che voglia un poco osare e fornire chiavi di lettura a chiunque sia desideroso di decifrare il proprio presente.

E allora partiamo dal fatto della cronaca politica che ha catturato l’attenzione dei media negli ultimi giorni: le primarie del Pd e la vittoria di Pierluigi Bersani, che per questo sarà nelle elezioni politiche del 2013 il candidato del centrosinistra alla presidenza del consiglio. La vittoria di Bersani, tutto sommato prevedibile, è però adesso un dato certo e possiamo dire che il successo conseguito dall’attuale segretario nazionale del Pd, peraltro suffragato da quasi il 61% dei consensi, potrebbe innescare un meccanismo competitivo ben preciso. Esattamente il seguente: Bersani ha vinto, quindi Berlusconi, che ha fatto di tutto per stoppare l’iter delle primarie dentro il Pdl, dopo averlo in qualche modo avviato, decide di scendere nuovamente in campo. Ha un’occasione ghiotta, ovvero presentare la sinistra secondo gli schemi con cui l’ha potuta presentare nell’ultimo ventennio, e dire al proprio elettorato smarrito e confuso: vedete? dicono e fanno, ma poi sono sempre i soliti comunisti (così, guarda caso, titolava “Il Giornale” la prima pagina di lunedì scorso, il giorno successivo al ballottaggio delle primarie: “Restano comunisti”). Vedrete, questo il senso del discorso, in una forma o nell’altra torneranno Massimo D’Alema e Rosy Bindi (che non ha mai detto di volersene andare, e pare semmai determinata a chiedere la deroga al partito per potersi ricandidare alle prossime elezioni, nonostante abbia superato i 15 anni di permanenza in Parlamento), e con essi tutto l’apparato che, grazie a Bersani, è riuscito a respingere il “rottamatore” Matteo Renzi. Il sottotitolo del “Giornale” è infatti il seguente: “La sinistra non cambia: con il segretario continuano a comandare i soliti”.

L’argomento potrebbe anche reggere, ha i suoi elementi di verità, e quindi? Quindi potrebbe prodursi quella situazione che ho provato ad argomentare poco tempo fa nell’articolo intitolato “Tra Scilla e Cariddi della politica italiana…”. Vale a dire: a fronte di una discreta quota di astensionismo, che probabilmente sarà la più alta di sempre nella nostra storia elettorale repubblicana (abituata a percentuali nettamente superiori alla media europea occidentale), e del possibile exploit del Movimento 5 Stelle, il Pd, nonostante i più recenti accreditamenti sondaggistici (effetto positivo di primarie finalmente vivaci e non scontate), non va oltre il 30%, e il Pdl, con un Berlusconi alla riscossa, potrebbe avvicinarsi al 20%, quanto meno, ma non è detto che non possa andare persino oltre, se si allea con la Lega. A prescindere dai voti che potranno prendere Vendola e Casini (il cui risultato può comunque essere determinante per un’eventuale alleanza fra Pd+Sel e Udc), il rischio potrebbe essere finire con un sostanziale pareggio, una difficoltà a formare un’alleanza tra Casini, Vendola e Bersani, perché magari, se resta il porcellum così com’è, le maggioranze in Camera e Senato divergono, o si ripete una situazione tipo 2006, con maggioranza risicata in uno dei due rami del Parlamento.

Una competizione elettorale polarizzata sullo scontro Bersani-Berlusconi potrebbe proiettarci di cinque anni addietro, ma fors’anche di venti, alla sfida del ’94 tra Occhetto e l’allora “neopolitico” Berlusconi. Un clima avvelenatissimo, che riedita per l’ennesima volta la guerra civile permanente d’Italia, risulterebbe lo sfondo della competizione, e l’esito finale potrebbe essere un risultato di pari e patta, o comunque di non chiara, netta e solida maggioranza di nessuno, specie se Grillo intercetta un voto che rosica consensi non solo al centrodestra, ma anche alla sinistra.

Secondo Fabrizio Rondolino, ieri spin doctor di D’Alema oggi della Santanchè, i grillini “con le primarie del centrosinistra hanno smesso di rosicchiare voti da una parte e continuano solo a raccoglierne nel centrodestra, dove solo la nuova discesa in campo di Berlusconi potrà fermare l’emorragia”. Se lo stesso Silvio farà questo ragionamento, la nostra ipotesi diventerebbe realtà. D’altronde è lo stesso Rondolino, che parla da consulente di una parlamentare molto vicina al Cavaliere, a impostare lo schema d’attacco, affermando in un’intervista pubblicata pochi giorni fa che “con la vittoria di Bersani siamo ritornati indietro nel ’94”.

Di fronte ad una impasse di questo tipo, l’ipotesi di un Monti bis si configurerebbe all’orizzonte, e Casini, Fini, Montezemolo e tutti coloro che si collocheranno al centro della tenzone elettorale invocherebbero subito una tale soluzione. Ora è certo che un Monti bis sarebbe diverso dall’attuale governo Monti. Non potrebbe (né dovrebbe!) essere come quello attuale, tutto tasse e misure restrittive finalizzate alla riduzione dello spread, ovvero il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi, che peraltro, se continuasse l’attuale tendenza, Monti si potrebbe vantare nel marzo prossimo di aver ridotto fino quasi a dimezzare, rispetto ai livelli che erano stati raggiunti nei giorni precedenti al suo arrivo a Palazzo Chigi. Diventerebbe interessante capire in che forma e in che misura Monti si adopererebbe per rimuovere quei corporativismi professionali e quei reticoli clientelari politico-amministrativi su cui ha espresso tante critiche negli ultimi mesi, indicandoli quali profondi e durevoli nemici del cambiamento. E capire se l’obiettivo sono davvero i “pesci grossi” e invisibili dello spreco e della conservazione di privilegi corporati e particolaristici.

In ogni caso, prima avremmo una riedizione delle ultime campagne elettorali, stessi slogan, stessi toni esasperati, stessi volti, o quasi, e una sostanziale prosecuzione del blocco del sistema. Ma molte variabili sono ancora in gioco. Prima di tutto c’è la legge elettorale, anche se le manfrine che i partiti stanno inscenando in Parlamento depongono a favore dell’ipotesi che non se ne farà nulla, sostanzialmente. Al più si toglierà la clausola delle liste bloccate e si reintrodurranno le preferenze, ma ciò non incide sulla questione dei premi di maggioranza e dispositivi affini. Le notizie dell’ultima ora indicano una situazione di stallo che potrebbe portare infine ad un nulla di fatto, tenuto conto della data delle elezioni (ancora da definire, e ulteriore oggetto del contendere) che sono così a ridosso, e i relativi calcoli dell’uno e dell’altro, interessi uguali e contrari che finiscono per annullarsi vicendevolmente. Meglio lasciare le cose così come stanno, diranno le segreterie dei vari partiti. Scegliamo il male minore.

C’è poi l’incognita sull’effettivo valore aggiunto che ancora Berlusconi può portare nel campo dell’elettorato di centrodestra, ma credo che quel che oggi può apparire improbabile, alla vigilia di un voto per la scelta del governo nazionale potrebbe anche prendere tutta un’altra consistenza. E l’emorragia, in effetti, fermarsi. Ed è su questa possibilità di recupero in extremis che si concentrerebbero le attuali aspettative berlusconiane. Il fiuto politico dell’uomo potrebbe però portarlo anche ad una mossa a sorpresa, suggerendo un’altra candidatura, ad oggi imprevedibile, ma magari vincente, comunque tale da far risalire considerevolmente i consensi per il centrodestra.

Infine, può darsi pure che Bersani e il PD-Sel vincano a man bassa le elezioni e, a prescindere dal sistema elettorale che sarà in vigore, né il Movimento 5 Stelle né un centrodestra ricompattato da Berlusconi saranno influenti come “guastatori di maggioranze”.

Come a dire che il nostro esercizio di metodo ipotetico-deduttivo applicato alla politologia potrebbe rivelarsi del tutto infondato. Ma d’altronde Karl Popper ci ha insegnato che nessun esperimento empirico potrà mai “verificare” una teoria, ma solo smentirla. E devoti al criterio di falsificabilità, lasciamo che questa nostra ipotesi possa anche non verificarsi. Niente di male, tutto molto scientifico. E tutte queste parole che ho appena scritto “andranno perdute nel tempo, come lacrime nella pioggia”, per parafrasare il celebre monologo di Rutger Hauer in “Blade Runner”. Ma nel nostro caso i replicanti non hanno una durata limitata a pochi anni, sono assai più longevi, e pertanto ritornano, “a volte ritornano”, e così finì che Stephen King risultò più visionario e lungimirante di Ridley Scott…