di Fabio Massimo Nicosia

Pannella è uomo d’azione, tuttavia ha dato anche contributi teorici di un certo interesse. Uno di questi è il cosiddetto “Preambolo” allo statuto del partito radicale. Data la sua brevità, val la pena di riportarlo per esteso:

“Il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito proclama il diritto e la legge, diritto e legge anche politici del Partito Radicale, proclama nel loro rispetto la fonte insuperabile di legittimità delle istituzioni, proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del diritto, della legge. Richiama se stesso, ed ogni persona che voglia sperare nella vita e nella pace, nella giustizia e nella libertà, allo stretto rispetto, all’attiva difesa di due leggi fondamentali quali: La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (auspicando che l’intitolazione venga mutata in “Diritti della Persona”) e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nonché delle Costituzioni degli Stati che rispettino i principi contenuti nelle due carte; al rifiuto dell’obbedienza e del riconoscimento di legittimità, invece, per chiunque le violi, chiunque non le applichi, chiunque le riduca a verbose dichiarazioni meramente ordinatorie, cioè a non-leggi. Dichiara di conferire all’imperativo del “non uccidere” valore di legge storicamente assoluta, senza eccezioni, nemmeno quella della legittima difesa.”

Lasciando perdere quest’ultimo aspetto, problematico e controverso, restiamo alla prima parte, quella che proclama il diritto e la legge diritto e legge anche politici del PR, da difendersi con gli strumenti della nonviolenza e della disobbedienza civile. Si tratta, come si vede, di una presa di posizione, portata all’estremo, del concetto liberale di Stato di diritto, o, come dice Pannella, della “grande utopia dello Stato di diritto”. Poiché in passato Pannella aveva enunciato contenuti più vicini a quelli dell’anarchismo, come nella prefazione del 1973 al libro di Andrea Valcarenghi “Underground a pugno chiuso”, si propone un confronto tra due “grandi utopie”: quella dell’anarchismo e quella dello Stato di diritto.

Il dubbio che ne scaturisce è però che lo Stato di diritto sia più utopico dello stesso anarchismo. Va precisato che quello a cui allude Pannella non è uno Stato di diritto purchessia (anche il nazismo era uno Stato di diritto), ma uno Stato che faccia propri i principi liberali e costituzionali delle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, sicché si tratta di uno Stato di diritto costituzionale. Non solo: in Pannella la fonte del diritto non è la “forza”, come normalmente si ritiene, ma il suo opposto, la nonviolenza. Tuttavia ciò non solo non basta a farne venir meno il carattere utopico, anzi l’accresce, dato che, se l’obiettivo è porre l’uomo di potere al di sotto della legge, noi sappiamo anche che l’uomo di potere può modificare la legge, ignorarla, o porsi al di fuori di essa. Sicché combattere queste deviazioni può divenire una fatica di Sisifo, come dimostrano i numerosi digiuni di Pannella, tutti condotti in nome appunto di questa concezione costituzionale dello Stato di diritto. Proprio la necessità di combattere tutti i giorni il potere perché viola le norme che si è date, dimostra il carattere utopico dell’istituto, che vive di questa tensione uomo/norma, per cui la norma è suprema rispetto all’uomo, ma l’uomo è a sua volta supremo, almeno di fatto, se non formalmente, rispetto alla norma.

Ciò che rende utopistica la fiducia nello Stato di diritto va ravvisato nel carattere monopolistico di questo. Non avendo concorrenti, lo Stato tende ad abusare (abuso di posizione dominante) del proprio potere, benché lo Stato costituzionale tenda a simulare i meccanismi di concorrenza attraverso il principio di separazione dei poteri, che dovrebbe garantire un sistema di pesi e contrappesi, che nel mercato sono invece naturali. D’altra parte, tutti gli Stati, anche “di diritto”, tendono a derogare anche formalmente al proprio primo principio (l’assoggettamento alla legge), non foss’altro che per la presenza di forze armate (monopolistiche) e dell’esempio eclatante dei servizi segreti, nella buona sostanza sottratti per definizione al rispetto della legge. L’anarchismo invece propugna direttamente una società priva di autorità centrale, fondata sull’autoorganizzazione, che per alcuni coincide con un sistema a pieno libero mercato.

Certo, l’abolizione di quell’autorità non è all’ordine del giorno, e tuttavia, sul piano logico, l’anarchia è più coerente rispetto allo Stato di diritto, e non ne condivide le aporie. Certo, digiunare in nome di una norma di legge è più semplice che digiunare in nome dell’abolizione dello Stato. E tuttavia proprio gli estremi sforzi di Pannella, come il digiuno della sete, dimostrano quanto sia poco realistico confidare in uno Stato di diritto che sia, nella quotidianità, davvero tale, come dimostrano anche gl’innumerevoli scandali che investono la politica, con diffusi fenomeni di corruzione, etc. Del resto, lottare in nome di norme giuridiche vigenti sconta il fatto che queste sono spesso ambigue, e lasciano spazio a divergenti interpretazioni.

Per esempio quando Pannella digiuna per l’amnistia, non è ben chiaro quale norma giuridica stia invocando. E’ vero che l’art. 27 della Costituzione italiana afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e le condizioni delle nostre carceri non lo consente. Tuttavia nemmeno è possibile ricavare direttamente che la soluzione al problema sia l’amnistia e non un’altra, magari più tenue, come la previsione di misure alternative al carcere, o più “radicale”, come l’abolizione del carcere tout court. Allo stesso modo, quando i radicali praticano la disobbedienza civile distribuendo piante di canapa indiana, non è chiaro quale norma stiano invocando. Qui, semmai, c’è l’appello a principi generali, come l’autodeterminazione dell’individuo e la lotta alla criminalità organizzata, ma va detto che Pannella non si è mai considerato un giusnaturalista, e infatti ha più volte definito le dichiarazioni dei diritti come “diritto naturale storicamente acquisito”, conquistato e reso vigente, e quindi sempre da una prospettiva positivista. Tant’è che il “Preambolo” condanna i tentativi di rendere queste disposizioni di rango supremo mere verbosità, pretendendo, il che è corretto, che siano considerato diritto vigente a tutti gli effetti.

Tuttavia, in conclusione, vi è un possibile nesso di congiunzione tra le due “utopie”, quella anarchica e quella liberal-radicale, ed è rappresentato dall’art. 20 § 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, secondo la quale “Nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione”. Ci piacerebbe conoscere il nome dell’”anarchico” che ha ispirato, nel 1948, tale disposizione, dato che essa, presa alla lettera, mette fuori legge tutti gli Stati esistenti. Dato che la caratteristica di uno Stato è proprio quella di costringere i cittadini a farne parte, trattandosi, come dicono i giuristi, di un’istituzione ad “appartenenza necessaria”. Prima o poi qualche radicale se ne accorgerà, e farà ricorso alla disobbedienza in nome di questo elevato, difficilissimo, obiettivo: far deperire gli Stati esistenti, così come del resto diceva il primo Pannella, quello della citata prefazione al libro di Andrea Valcarenghi, chiudendo così brillantemente il cerchio teorico pannelliano.