di Alessandro Campi

Prima il quotidiano della Santa Sede, che ha giudicato la “salita in politica” di Monti “un appello a recuperare il senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune”. Poi le parole di Angelo Bagnasco, presidente della Cei, che ha lodato l’onestà e la capacità dell’ex presidente del consiglio e auspicato “una politica alta per il bene del Paese”.

Era dai tempi della Prima Repubblica che le gerarchie cattoliche non intervenivano, con una posizione tanto unitaria e ufficiale, nelle vicende politiche italiane, sposando con tanta determinazione un leader politico e uno schieramento. L’appoggio ventennale offerto a Berlusconi, frutto di una convergenza per molti versi strumentale, è stato comunque altalenante e contrastato, specie negli ultimi anni, quando le bordate più dure contro il centrodestra e il berlusconismo sono venute proprio dalla stampa cattolica.

Viene allora da chiedersi il perché di un simile cambio di passo. C’è chi sostiene che in Vaticano stiano solo cercando qualcuno cui demandare ex novo la difesa dei propri interessi secolari. Ma ridurre le scelte della Chiesa ad un opportunistico “do ut des”, ad uno scambio utilitaristico con il mondo politico, significa svilirne la missione storica e confondere le sue legittime esigenze materiali con le sue più autentiche preoccupazioni pastorali e dottrinarie.

Nemmeno si può immaginare che la scelta a favore di Monti stia a significare un cambiamento nel tradizionale orientamento della Chiesa in materia economica e sociale: quasi che si sia deciso di abbandonare l’attenzione per gli ultimi e i sofferenti per convertirsi al rigore dei conti pubblici e alla logica del risanamento attraverso i sacrifici e i tagli.

Di Monti, più che le ricette economiche, le gerarchie cattoliche sembrano apprezzare lo stile misurato e sobrio, il rifiuto del fanatismo ideologico, la compostezza istituzionale, il fatto di non assecondare con facili promesse gli istinti e i cattivi umori del corpo sociale.

Ma nella scelta a suo favore sembra esserci, con ogni evidenza, anche un fattore d’ordine storico-culturale. Il fatto è che nella sua lotta contro la secolarizzazione e un modello di società improntato al relativismo dei valori e al soggettivismo più radicale, che è poi il cuore del magistero morale-intellettuale di Ratzinger, la Chiesa ha scoperto di non avere più alleati secolari o esponenti della politica laica in grado di condividerne le battaglie.

Non li ha a sinistra. Se i progressisti del Pd coltivano un modello di “cattolico adulto” che tende a risolversi in una forma di moralismo intransigente applicato tuttavia alla lotta politica e non alla questione antropologica o alla battaglia sui valori, la sinistra radicale di Vendola (che nei futuri equilibri di governo potrebbe diventare a dir poco condizionante) persegue la mistica dei diritti civili declinati in chiave individualistica e del matrimonio omosessuale ha ormai fatto una frontiera del progresso civile.

Ma non li ha nemmeno a destra. La Lega, già celtica e pagana, si è scoperta cattolica e tradizionalista solo in funzione anti-islamica, così come gli “atei devoti” hanno utilizzato a suo tempo la Chiesa per la loro guerra al terrorismo in chiave occidentalista. La destra post-fascista per anni è stata guidata da un leader apertamente laicista e ateo (e questo spiega certe attuali resistenze nei confronti di Fini all’interno del progetto centrista che si sta aggregando intorno a Monti). Quanto a Berlusconi, a dispetto della zia suora e dello studio giovanile dai salesiani, non è mai riuscito a reprimere la sua vena libertina e a superare la sua sostanziale indifferenza ai temi etici.

Da qui la scelta odierna di Monti come una sorta di ultima spiaggia per una Chiesa che appare sempre più perdente sul terreno degli insegnamenti morali e incapace, non di far sentire la sua voce nel dibattito pubblico, cosa che in democrazia a nessuno è negata, quanto di influenzare comportamenti e stili di vita collettivi secondo i suoi valori storici. Da qui l’apertura di credito verso l’unico uomo politico che in questa fase storica, grazie all’autorevolezza che lo circonda e al credito che ha saputo conquistarsi anche internazionalmente, appare capace non di riunificare politicamente i cattolici, una prospettiva ormai superata e oggettivamente al di là delle sue forze, quanto di offrire nuovamente una sponda politico-istituzionale significativa alle battaglie culturali della Chiesa. Che più che l’ostilità verso i suoi insegnamenti ha dovuto soffrire, in tutti questi anni, l’indifferenza riservata alle sue prese di posizione in primis proprio dal mondo politico.