di Federico Donelli
Le recenti notizie di un rapido e, probabilmente irreversibile, peggioramento delle condizioni di salute del Presidente venezuelano Hugo Chávez, da un paio di anni è alle prese con una difficile lotta contro il cancro, sembrano confermare le previsioni filtrate da ambienti vicini alla CIA secondo le quali al Presidente, rieletto nell’ottobre scorso, non resterebbero più di quattro o al massimo sei mesi di vita. Chávez il 9 dicembre scorso ha per la prima volta annunciato al Paese, attraverso un lungo discorso a reti unificate, che esami approfonditi presso una clinica cubana hanno confermato la presenza di un nuovo tumore maligno, obbligandolo a sottoporsi, per la quinta volta nel giro di 18 mesi, ad una operazione i cui esiti positivi sono tutt’altro che certi.
Elemento di novità non è stata la malattia che nonostante continui ad essere una sorta di segreto di Stato ha costituito il tema centrale della sua recente campagna elettorale, ma il fatto che per la prima volta da quando gli è stata diagnosticata la malattia abbia ammesso la possibilità che presto non potrà più essere in grado di governare, indicando come suo legittimo successore il Ministro degli Esteri Nicolas Maduro, nominato da Chávez vice-Presidente. Il cinquantenne diplomatico si è distinto negli anni per la propria vicinanza a Chávez, nel 1999 fu tra i membri dell’Assemblea costituente, successivamente è stato parlamentare fino al 2006 quando ha assunto la carica di Ministro degli Esteri, da allora è sempre stato presente ad ogni intervento pubblico del Presidente e, durante i primi ricoveri all’Havana, ha svolto il ruolo di braccio operativo del leader in collaborazione con Diosdado Cabello attuale presidente dell’Assemblea Nazionale.
In questi anni Maduro può essere considerato l’artefice principale della politica estera venezuelana, le sue scelte sono apparse sia frutto di convinzioni ideologiche che lo hanno spinto a tessere rapporti sempre più stretti con Cuba e con regimi discutibili come quello libico di Gheddafi o l’Iran di Ahmadinejad, sia da scelte di carattere pragmatico come il graduale e necessario riavvicinamento ad un importante partner regionale come la Colombia. Pur condividendo con il Presidente Chávez una buona dose di radicalismo, come le critiche più volte rivolte agli Stati Uniti tra le quali famosa resta quella rilasciata a seguito di controlli subiti ai propri bagagli all’aeroporto di New York in cui accusava gli Stati Uniti di razzismo e di perseguire politiche simili a quelle del regime nazista, Maduro ha saputo in questi anni smarcarsi dal proprio leader dimostrando una certa flessibilità che lo ha condotto anche ad accettare una serie di compromessi, in materia di politica commerciale ed energetica, risultati determinanti per l’economica del Paese su tutti l’ingresso del Venezuela nel Mercosur. La Costituzione venezuelana prevede che nel caso in cui il neo eletto Presidente venga meno nelle proprie capacità di governare prima dell’insediamento ufficiale, previsto in questo caso per il 10 gennaio, i poteri passino all’Assemblea Nazionale che deve indire nuove elezioni entro trenta giorni. Per questo motivo, nonostante il designato di Chávez sia a tutti gli effetti Maduro, nel caso in cui le condizioni del Presidente dovessero peggiorare prima del 10 gennaio il potere passerebbe non al vice-Presidente bensì al presidente dell’Assemblea ossia a Cabello. Le due figure vicine a Chávez sono molto diverse per carattere e formazione, godendo inoltre di appoggi politici differenti; se, infatti, Maduro è un uomo forte di Chávez discepolo del socialismo rivoluzionario chavista, Cabello è legato agli ambienti militari e gode di una legittimità politica ben maggiore. Seppure non si possa escludere che in futuro Maduro e Cabello riescano a dare vita ad una co-gestione del potere che persegua gli obiettivi del processo rivoluzionario innescato ed impostato dal leader, sulla falsa riga di quanto già avvenuto durante i primi mesi di malattia di Chávez, è anche plausibile che il vuoto di potere lasciato da una prematura morte del Presidente generi una lotta intestina per il potere in cui verrebbero inevitabilmente coinvolte anche le diverse anime dell’opposizione venezuelana e attori esterni a lei vicini, su tutti gli Stati Uniti, da sempre interessati al crollo del regime chavista.
Al vice-Presidente Maduro, dopo la designazione di Chávez risulterà altresì determinante l’appoggio politico di Cabello oltre a quello compatto dell’intera dirigenza del Partito Socialista Unito, perché solamente in tal caso verrà garantita continuità alla rivoluzione bolivariana di Chávez e, così facendo, sarà possibile per lo chavismo sopravvivere al proprio demiurgo e leader.