di Angelica Stramazzi

Generalmente, siamo indotti a pensare che le cose (ed i pensieri) migliori siano necessariamente il frutto delle elaborazioni mentali e delle riflessioni di coloro che, in maniera costante, (si) conquistano, più o meno volontariamente, spazi e visibilità nel già affollato mondo dell’informazione. Ogni giorno siamo sottoposti ad un flusso continuo ed ininterrotto di notizie, travolti da commenti ed opinioni, a tal punto che finiamo per sentirci persi e smarriti. A tal proposito, non sbaglia – anzi, tutt’altro – chi rileva una preoccupante perdita di capacità di concentrazione, di riflessione e di inclinazione al pensiero lento, mentre predomina il rispetto di tempi stringenti e di tabelle di marcia piuttosto serrate. Andiamo tutti (e sempre di più) di corsa. Ma chi è davvero disposto a rinunciare alla concretizzazione di qualche “imperativo categorico” (che poi il più delle volte così categorico non è, tanto da risultare facilmente rinviabile) per riscoprire frammenti di storie, di vite e di pensieri sottaciuti? In quanti sono in grado di comprendere che la velocità (e l’immediatezza) delle notizie è sì importante, ma bisogna cedere qualcosa di fronte alla necessità di meditare su ciò che, mediaticamente parlando, assorbiamo come se fossimo delle spugne?

I dibattiti (politici) televisivi confermano quanto espresso finora; e tendono a generare forti ondate di pessimismo, oltre che di disaffezione nei confronti di chi ci governa e di coloro che si apprestano a farlo tra un mese esatto: il crescente livello di disoccupazione, unitamente alla mancanza di lungimiranti politiche di crescita e di sviluppo per il Paese, non si combatte di certo mediante la pratica dell’insulto gratuito diretto a screditare un avversario politico percepito alla stregua di un acerrimo nemico.

Ma se in un primo momento, la risposta a questo stato (preoccupante) di cose la si è voluta trovare nell’antipolitica, attualmente c’è crisi anche per i più fortunati piazzisti ed incantatori di folle: la gente è stanca di promesse continue, di appelli corali, di incitamenti fasulli e di richiami ad un comune patrimonio di valori e principi che poi nessuno rispetta. In fondo, con le elezioni alle porte ed una campagna elettorale ancora in corso, è buona regola dire tutto ed il contrario di tutto, se non altro per proseguire quelle linee di pensiero che ci dipingono come un popolo fortemente disunito, affezionato al proprio campanile di riferimento e scarsamente desideroso di sentirsi davvero Nazione.

Accade però che, mentre impazza il toto nomine in vista dell’ultimazione delle liste per il rinnovo del futuro Parlamento, tornino alla memoria figure di italiani che molto hanno dato al nostro Paese, ma che, nonostante abbiano ricoperto ruoli ed incarichi pubblici, non sono balzati agli onori delle cronache. Forse perché hanno sempre cercato di vivere rettamente, in maniera onesta e trasparente, senza mai sottrarre nulla da ciò che, in un determinato momento, avevano a propria disposizione, bensì donando qualcosa di sé agli altri: al prossimo sofferente, al bisognoso in cerca di aiuto e soprattutto alle generazioni future.

Non molti saranno a conoscenza della figura di Alexander Langer, altoatesino di Vipiteno, fondatore del movimento dei “Verdi” e morto suicida nel 1995, all’età di 49 anni. Una vita, la sua, spesa per far sì che le tematiche ambientali, legate all’esigenza di diffondere una cultura del vivere sostenibile, potessero emergere con forza all’interno di un dibattito pubblico spesso e volentieri occupato da argomenti marginali, privi di sostanza, di valore aggiunto e di contenuti in grado di imporsi all’attenzione dei più. Un uomo dal temperamento deciso, paragonabile a quei fiori che, proprio nelle zone montane dell’Alto Adige, faticano a spuntare; ma quando riescono a fare capolino, resistono alle asperità e alle durezze del clima, crescendo in maniera sì spontanea ma certamente vigorosa.

In un articolo apparso su Repubblica lo scorso settembre, Adriano Sofri ricorda la figura di Langer che, tra le altre cose, decise di aderire al movimento “Lotta Continua” pur mantenendo ferma la sua fede religiosa e la sua vocazione a seguire i precetti e gli insegnamenti di Cristo. Di fronte al disappunto espresso dai genitori quando egli comunicò loro la volontà di farsi sacerdote, Langer non si era arreso; ma aveva cercato di convogliare quel suo desiderio lungo altri canali, sposando così l’idea di una “rivoluzione verde” destinata a cambiare il mondo. In fondo l’ambiente, posto costantemente sotto assedio dalla voglia (incontrollata) di espansione dell’uomo, è anch’esso un dono di Dio.

Nel suo scritto, Sofri cita un brano di Langer pensato in occasione di una conferenza tenuta da Alex nel 1991 a Bolzano: «E’ un tempo, questo, in cui non passa giorno senza che si getti qualche pietra sull’impegno pubblico, specie politico. Troppa è la corruzione, la falsità, il trionfo dell’apparenza e della volgarità. Troppo accreditati i finti rinnovamenti, moralismi abusivi, demagogia e semplicismo. Troppo evidente la carica di eversione e deviazione che caratterizza mansioni che dovevano essere di estrema responsabilità. Troppi tracotanti si rinfacciano durezza sociale, logica del più forte, competizione selvaggia».

L’attualità di questo brano è disarmante; e ci riporta dritti ad un presente fatto di banalità, di eccessive semplificazioni, oltre che di valutazioni e giudizi sommari. Ecco perché di fronte ad un generale senso di smarrimento e di perdita di prospettiva, sarebbe necessario fermarsi qualche istante a riflettere, focalizzando l’attenzione sul momento che stiamo vivendo: quanti Alexander Langer ci sono in Italia che nessuno conosce o, peggio ancora, ignora? Quanti sono disposti a dare qualcosa di sé per migliorare il benessere di tutti?

Se d’istinto si potrebbe essere portati a fornire risposte negative, dopo un’attenta valutazione il responso muterebbe: l’insegnamento di Langer (insieme a quello di molti altri) non è andato perduto, ma necessita solamente di una riscoperta. Di un desiderio sincero di volerlo trasformare in un monito prezioso, in un incitamento costante a fare di più e meglio, oltre che in una speranza di redenzione per il nostro domani.

 

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