di Luca Ozzano
Fra i grandi temi etici, quello relativo alle unioni omosessuali è stato probabilmente, insieme all’aborto, il più discusso, a livello globale, negli ultimi anni. Al contrario dell’aborto, tuttavia, nel caso delle unioni gay si è potuto verificare negli ultimi decenni un significativo spostamento di posizioni da parte di una fetta consistente di popolazione (in particolare nei paesi occidentali e tra le fasce più giovani) che ha portato, in diversi casi, a modificare anche radicalmente la legislazione sul tema.
Ad essere pioniere in questo campo sono state le nazioni protestanti dell’Europa centro-settentrionale, nel 1989 con il primo riconoscimento delle unioni di fatto in Danimarca e nel 2001 con quello del matrimonio omosessuale vero e proprio – equiparabile a quello tra uomo e donna – in Olanda. La vera e propria accelerazione è tuttavia avvenuta alla metà dello scorso decennio, quando numerosi paesi europei – a partire dal contestatissimo caso spagnolo all’avvento del governo Zapatero – hanno iniziato a legalizzare unioni e/o matrimoni gay.
Una dinamica che ha avuto effetto anche sul nostro paese, dove quella del riconoscimento delle coppie di fatto è stata una delle principali questioni dibattute nella campagna elettorale del 2006, nonché una delle principali ‘issues cuneo’ tra cattolici e laici nel successivo governo Prodi. Durante questa campagna, tra le forze politiche italiane si potevano trovare pressoché tutte le possibili posizioni sul tema: chi, come Rifondazione e i Radicali, era a favore di un’unione pubblica riconosciuta dallo stato o di un vero e proprio matrimonio; chi, come parte dei DS, avrebbe preferito un’unione non equiparabile al matrimonio eterosessuale; chi, come parte della Margherita, ammetteva il riconoscimento di alcuni diritti in termini di patto privato tra i contraenti; e chi infine, come Calderoli, si opponeva a diritti speciali per ‘i culattoni’ (per i quali il collega di partito Gentilini proponeva la ‘pulizia etnica’).
Una gamma di posizioni che si è potuta osservare anche in un altro recente dibattito, quello per le presidenziali USA del 2012, caratterizzate da un’estrema polarizzazione. A fronte di un presidente in carica che, da un posizione incerta, si era spostato con decisione a favore del matrimonio gay, avevamo infatti un partito repubblicano caratterizzato in gran parte da posizioni di chiusura rispetto allo stesso riconoscimento della liceità delle relazioni omosessuali: celebri, a questo proposito, le dichiarazioni di Rick Santorum che equiparavano l’omosessualità alla poligamia o al sesso con animali.
La vittoria della linea Obama negli USA (a fronte di una situazione che tuttavia vede ancora un numero ristretto di stati americani, sia pure in aumento, con un effettivo riconoscimento delle unioni gay) e la successiva legge varata dal governo socialista in Francia (che potrebbe essere imitata dal centrosinistra italiano, in caso di vittoria elettorale) sembrerebbero dimostrare che il trend verso il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, almeno in Occidente, sembra inarrestabile. Con un estremo ancora una volta nei paesi protestanti del Nord Europa, dove in alcuni casi gay e lesbiche possono oggi sposarsi anche in Chiesa.
Chi si interroga su questa tendenza ha pochi dubbi: questa evoluzione legislativa rispecchia un’evoluzione nei costumi che ha avuto luogo negli ultimi decenni. Un mutamento che, a sua volta, è dovuto in parte all’evoluzione dei costumi post-68; e in parte si addebita alla maggiore familiarità del pubblico occidentale con figure di omosessuali caratterizzate in senso positivo che sono state diffuse dai media. Come è stato osservato negli USA, la serie Will and Grace ha forse giovato alla causa degli omosessuali più di decenni di manifestazioni.
Stiamo parlando, appunto, dell’Occidente. Ovvero, di quelle aree del mondo caratterizzate da un lato da istituzioni democratiche e laiche, e dall’altro da una maggioranza di affiliati a chiese cattoliche e protestanti o non credenti: mondo anglo-sassone, Europa occidentale e America Latina. Fatta eccezione per Israele (dove sono riconosciuti i matrimoni gay celebrati all’estero) e per qualche apertura in paesi buddhisti dell’Asia come Nepal e Cambogia, il resto del mondo è caratterizzato non solo dal non riconoscimento delle unioni omosessuali, ma spesso – come nel caso di diversi paesi mediorientali – da leggi contro l’omosessualità che possono arrivare a prevedere la pena di morte. A questo proposito, sono noti i casi di Uganda e Russia, che negli ultimi mesi si sono aggiunti a questo novero, promulgando leggi fortemente omofobe.
Ad un Occidente che sembra avviato sulla strada della piena legalizzazione delle unioni gay fa quindi da contraltare un mondo non occidentale caratterizzato da una forte ostilità verso gli omosessuali: ostilità che in qualche caso assume le caratteristiche di un atto esemplare proprio per distinguersi dal ‘corrotto’ Occidente; in altri è sponsorizzata ad arte da grandi organizzazioni religiose transnazionali che, non potendo più contare su una ‘maggioranza morale’ nei paesi di origine, si dedicano al lobbying presso regimi compiacenti. Il risultato è un mondo sempre più spaccato in due, in termini di diritti civili forse ancor più che in termini economici e politici.
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