di Simone Ros
Improbabile attendersi una consistente copertura dei media italiani, vista la contingenza del tema prescelto (nessuna fantasiosa domanda elvetica su minareti o affini) e la coincidenza con appuntamenti elettorali di peso come la caduta del “principe” merkeliano McAllister nella germanica Bassa Sassonia e la sofferta riconferma del conservatore Bibi Netanyahu in Israele. La Repubblica Austriaca ha votato domenica 20 gennaio 2013 per decidere la sorte del glorioso Bundesheer (l’esercito federale); questione particolarmente spinosa e dibattuta in un paese che ha solennemente dichiarato, nel lontano 1956, la propria imperitura neutralità.
Il governo in carica, un esecutivo di coalizione rosso-nero (socialisti e popolari) guidato dal socialista Werner Faymann e dal vice-cancelliere (e Ministro degli Esteri) popolare Michael Spindelegger, si è trovato improvvisamente al centro di un grottesco “gioco delle parti”, in cui i giri di valzer dei partiti governativi sono apparsi difficilmente spiegabili alla luce delle posizioni da loro strenuamente difese in passato. Il Partito Socialista d’Austria (SPÖ), tuttora primo partito nel paese, ha seguito in ordine sparso il combattivo Ministro della Difesa Norbert Darabos (SPÖ), impegnato nella battaglia per la cancellazione della leva obbligatoria e la formazione di un ridotto, ben addestrato ed economico esercito professionale. Dettaglio fondamentale: la SPÖ ha sempre sostenuto l’ideale dell’”Esercito del Popolo” (Volk), simbolo dell’impegno di ogni cittadino per la difesa della Patria minacciata.
Il settimanale Profil, decisamente schierato dalla parte del Ministro Darabos fin da tempi non sospetti (aveva lanciato una campagna per l’abolizione della leva già nel gennaio 2011), ha pubblicato una settimana prima dell’appuntamento elettorale un’ampia panoramica storica sulla funzione e gli obiettivi del Bundesheer: in risalto, la storica vittoria del candidato socialista (e icona) Bruno Kreisky nel lontano 1970, con lo slogan “Sei mesi sono sufficienti”. Kreisky aveva vissuto sulla propria pelle la drammatica annessione dell’Austria repubblicana all’ipertrofica Germania nazista e non intendeva assistere all’assorbimento della debole e neutrale Seconda Repubblica da parte del gigante sovietico acquattato ai suoi confini: ogni cittadino, in caso di invasione, avrebbe perciò dovuto essere pronto a combattere per le strade, far saltare ponti, tagliare le comunicazioni. Se la SPÖ ha quindi storicamente difeso la leva in nome di un’ideale “milizia di cittadini”, i popolari dell’ÖVP hanno più volte proposto un esercito più snello e professionale.
Il profumo di elezioni parlamentari (il 2013 è il Super-Anno Elettorale, come lo definisce la stampa austriaca) ha ribaltato gli schieramenti: la SPÖ per l’abolizione, l’ÖVP per il mantenimento della leva in nome dell’utilità dell’esercito in caso di emergenze e disastri naturali. La FPÖ dell’ultranazionalista Heinz Christian Strache ha scelto di accodarsi ai popolari, trasformando il referendum in una prova generale delle “vere” elezioni, quelle per il rinnovo del Parlamento (previste per giugno 2013). L’atmosfera si è surriscaldata, assumendo spesso toni tragicomici: il dibattito televisivo tra il Cancelliere Faymann e il suo vice Spindelegger negli studi dell’ORF (surreale nel momento in cui si è valutato l’appeal “da Cancelliere” dei due sfidanti), la sfortunata campagna femminista delle “Donne per un Esercito Professionale” (criticata per il giallo acceso dei manifesti, tragicamente simile a quello della nota catena di supermercati Billa), il fantozziano elenco delle malattie e difetti fisici grazie ai quali erano stati paradossalmente esonerati i più accesi fautori della leva (con l’eccezione di Spindelegger, va detto), le defezioni di peso nel campo socialista (una su tutti la governatrice di Salisburgo Gabi “la rossa” Burgstaller, indebolita da uno scandalo finanziario). L’aspetto rimarchevole della vicenda è la totale assenza di un dibattito serio e costruttivo sul ruolo di un Esercito (professionale o non) in una paese neutrale. L’assenza di un concetto strategico, i costi vertiginosi e il senso di inutilità di molte reclute sono stati fagocitati da comodi argomenti “tradizionalisti” (“l’esercito come scuola di vita”) o facili richiami populistici (“chi difenderà i cittadini dalle catastrofi?”). Il risultato (quasi il 60% in favore della leva, con una partecipazione totale vicina al 50%) non è stato una sorpresa.
Decisive ora le prossime mosse dei partiti di governo, a prescindere dall’oggetto del sofferto referendum: la SPÖ, imbambolata dopo la tiepida mobilitazione della base, spera di riconquistare dopo anni la Carinzia nelle prossime elezioni regionali (e un po’ di entusiasmo); l’ÖVP ha ingranato il turbo e conta di agguantare la maggioranza assoluta nelle elezioni in Bassa Austria grazie alla tenuta del suo “ras” locale Erwin Pröll (Frank Stronach, il miliardario sceso in politica, permettendo). Archiviati piani militari e reclute, l’arena della politica austriaca ritorna ad essere uno scontro all’ultimo sangue tra i due partiti governativi, con l’incognita di pericolosi outsiders (Frank Stronach in testa).
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