di Angelica Stramazzi
In questa campagna elettorale, sono tanti i temi che sono stati esclusi dall’agenda programmatica delle varie forze politiche in campo. A circa tre settimane di distanza dal voto, non è ancora pervenuta all’opinione pubblica alcuna proposta seria e ragionevole in merito, ad esempio, a cosa fare concretamente per salvaguardare il nostro paesaggio, per valorizzare le nostre bellezze artistiche e culturali, oltre che per rendere il comparto turistico uno dei principali motori dello sviluppo e della futura ripresa economica del Paese. Tranne qualche (timida) dichiarazione tendente all’introduzione di un Ministero della Cultura – fin da subito scomunicato nel nome, poiché chiaramente orientato a ricordare l’esperienza del MinCulPop istituito dal regime fascista –, sostanzialmente deputato ad attirare i capitali necessari per far sì che anche l’Italia possa costruire la propria forza (non solo economica) su ciò che attualmente possiede, nessun leader di partito ha comunicato con chiarezza e precisione cosa intende fare, qualora la sua coalizione di riferimento risultasse vincente, per porre a fine a quella deriva di pensiero (e di azione) che – da sempre – considera la cultura come qualcosa di accessorio, di inutile e, il più delle volte, persino banale.
Nel corso degli ultimi decenni, abbiamo assistito ad una progressiva erosione dei finanziamenti pubblici destinati al settore dei beni culturali: se interventi ed opere mirate sono state messe in atto, è stato dovuto, in larghissima parte, all’intervento di soggetti privati che, dimenticando la propria propensione politica e lo sdegno che a volte viene in superficie quando si registra un completo lassismo (e menefreghismo) su certi temi da parte della classe dirigente, hanno attinto al proprio portafogli per cercare di recuperare pezzi di storia altrimenti destinati alla rovina. Il caso del restauro del Colosseo, ormai entrato nella sua fase esecutiva e reso possibile grazie al finanziamento proveniente dal Gruppo Tod’s Spa, conferma quanto stiamo dicendo.
Ma se della necessità di ripartire dalla cultura affinché si possa tornare a crescere si è pur vagamente parlato, con piccoli accenni e sparute dichiarazioni da parte di questo o quel leader, la vera assente di questa campagna elettorale sembra essere la famiglia. E se in passato la Chiesa cattolica ha sempre strizzato l’occhio alle proposte provenienti sia da Casini che dal Cavaliere, nelle fasi in cui hanno agito da alleati oltre che in quelle in cui hanno marciato separatamente, pur contestando nel merito alcune proposte di provvedimento e non lesinando critiche; allo stato attuale il mondo cattolico appare disorientato, privo di punti di riferimento, se non fosse per il fatto che (ri)trovi nel Terzo Polo montiano qualche figura di vecchia conoscenza: quella di Pierferdinando Casini, giustappunto.
Tuttavia, basta scorrere velocemente la lista degli argomenti utilizzati dai partiti per cercare di incrementare il loro consenso elettorale per rendersi conto delle poche volte in cui si è fatto ricorso, anche solo in maniera vaga ed approssimativa, al tema della famiglia. Alla sua centralità (e sacralità), alla sua valorizzazione, al suo sviluppo e alla sua protezione. Di fronte al dilagare dell’individualismo, al progredire di fenomeni preoccupanti che vanno dal bullismo alla diffusione capillare di droghe e sostanze stupefacenti, stupisce l’incapacità dei nostri politici di comprendere quali siano i tasti su cui battere, le proposte su cui alzare il tiro, i provvedimenti su cui non negoziare o retrocedere per nessuna ragione. In che modo infatti è possibile resistere alle varie forme di relativismo che attraversano la società odierna se non ristabilendo alcune priorità valoriali, alcuni punti fermi in grado di orientare l’azione di ciascuno di noi, classe politica compresa?
Per decenni si è (erroneamente) creduto che ciascuno potesse bastare per sé; e qualsiasi aspetto della vita privata dovesse essere sacrificato sull’altare della crescita economica, perseguita il più delle volte attraverso l’adozione di politiche spregiudicate e incuranti del rispetto dell’altro. Il risultato di questi provvedimenti è sotto i nostri occhi: siamo tanti ma soli, disorientati poiché privi di guida, smarriti perché senza valori, sedotti (e poi abbandonati) da un potere che lusinga solo sé stesso. Eppure la famiglia è la particella elementare di ogni società: è sì realtà individuale ma è anche (e soprattutto) fusione, armonia, condivisione, dialogo, incontro.
Commentando quanto hanno fatto (e stanno facendo in questi giorni) Francia e Regno Unito in materia di nozze gay, Francesco D’Agostino, Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica e Presidente dell’Unione giuristi cattolici, ha ricordato che «per sradicare l’intuizione che l’uomo è orientato alla donna e la donna all’uomo, ben altro ci vuole che le iniziative di solerti ministri e funzionari della pubblica istruzione, volte a incitare i maestri a desessualizzare le fiabe. La famiglia – ha spiegato ancora D’Agostino – è resistente, perché la sua verità precede quella dello Stato e non si fonda su prescrizioni burocratiche e normative, ma su esigenze umane e profonde. […] Non spetta alla legge qualificare l’umano».
Il nostro Paese, complice anche la tradizione romanistica del diritto, è in preda ad un eccesso di “normativizzazione”, per cui si tende a legiferare circa ogni aspetto della vita e della quotidianità, pur non considerando le enormi difficoltà attualmente esistenti sia per approvare che per attuare un qualsivoglia provvedimento. Di fronte a queste oggettive criticità dunque, è certamente improduttivo (oltre che contrario ai principi su cui si fonda la nostra civiltà) emulare ciò che stanno attuando alcuni paesi europei e non in materia di famiglia. Non converrebbe invece a tutti riscoprire, valorizzare e proteggere ciò che dovrebbe unirci, anziché correr dietro a ciò che contribuirebbe (ulteriormente) a dividerci?
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