di Fabio Massimo Nicosia

Non che la notizia sia stata nascosta, tuttavia sembra che non sia stato sufficientemente sottolineato, e analizzato, il fatto che la lista di “Rivoluzione Civile”, che porta come front man il Pubblico ministero in aspettativa dott. Ingroia, sia appoggiata non solo da “colleghi” del leader, come il declinante Di Pietro e l’”arancione” De Magistris, ma da fior di partiti comunisti, come la Rifondazione dell’erede di Bertinotti, Ferrero, e il PdCI del prof. di Storia del diritto romano Diliberto, noto consulente per il diritto privato (sic) della Repubblica popolare cinese. Infine, fanno parte del gruppo i Verdi di Bonelli, dei quali non si sa più cosa dire, dato il calante destino di quella che doveva essere la forza dell’avvenire in nome del Sole che ride.

Ora, di fronte a uno schieramento di tal fatta, sono possibili due tipi di reazione:

a) Si tratta di una mera sommatoria, un po’ casuale, di forze diverse tra loro, che hanno l’unico problema di superare il quorum per entrare in Parlamento, e quindi si sono coalizzate all’uopo.

b) La coalizione mira ovviamente al quorum, e tuttavia le forze che la compongono sono unite da profonde affinità elettive.

Se è vera la prima ipotesi, nulla quaestio, l’operazione è perfettamente legittima, benché possano immaginarsi futuri dissensi interni sulle diverse questioni politiche sul tappeto, fino al rischio di implosione.

Se invece è fondata la seconda ipotesi, il quadro si fa più preoccupante.

In effetti, senza scomodare le ambiguità del PDS su tangentopoli, affinità elettive tra il vecchio PCI e le procure vi furono ai tempi delle maggioranze di “unità nazionale” e dei governi Andreotti-Berlinguer, allorché il PCI aveva da fronteggiare forze più o meno eversive alla propria sinistra, e il partito aveva bisogno di accreditarsi come legalitario, anche a costo di apparire più realista del re, lasciando ai socialisti e ai radicali il compito di mostrarsi garantisti e possibilisti nei confronti delle estreme.

Ma se il PdCi si presenta più decisamente come erede culturale e politico del vecchio Pci, non altrettanto si sarebbe detto per Rifondazione, che, a meno che non siano tutte confluite nel partitino di Ferrando, il Partito comunista dei lavoratori, aveva al proprio interno componenti luxemburghiane (lo stesso Bertinotti, ora con Sel) o trotskiste, come il vecchio Livio Maitan, che pur di non stare coi comunisti, nel 1948, scelse addirittura piuttosto di stare con Saragat e quindi con la DC!

Forze attente alla libertà del cittadino, intendiamo dire, che mal si sposa con l’immagine, quantomeno, “giustizialista”, di un movimento o cartello che ha per tre leader tre ex o quasi ex pubblici ministeri.

 

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