di Antonio Capitano
Non è un detto, ma un dato, economicamente e aziendalisticamente valutabile, quello che se i Comuni non funzionano non funziona lo Stato (Massimo Severo Giannini).
“In un momento di preoccupazione montante per la spesa pubblica la difficoltà del provvedere non è giustificazione del ritardare”. Così Massimo Severo Giannini ammoniva nel suo famoso Rapporto. In tempi di crisi aumenta l’esigenza di far sentire la nostra voce e aumenta di conseguenza l’azione del Comune. Il pensiero va alle prossime elezioni politiche e amministrative e soprattutto alla fine indegna di mandati regionali con personaggi che hanno rappresentato la negazione di fondamentali principi costituzionali ed alle recenti notizie di arresti e controlli dei pubblici bilanci con particolare riferimento ai casi di corruzione e di peculato.
La lotta agli sprechi si pone quindi quale una missione essenziale e, al riguardo, il legislatore è intervenuto attraverso la modifica della Costituzione proprio al fine di scongiurare le allegre gestioni che hanno condotto sul baratro internazionale il nostro Paese. Tuttavia, sul punto vi sono anche allarmanti gridi di dolore: Salvatore Settis afferma che “la riforma dell’art. 81, che la ‘strana maggioranza’ di Monti ha approvato, unanime, lo scorso aprile, è stato un abile ballon d’essai. Secondo la versione ufficiale, il nuovo testo ha introdotto l’obbligo del pareggio in bilancio: col che si insinua che il vecchio testo autorizzasse ogni debito e ogni spreco. Ma allora perché Luigi Einaudi, grande economista, poté scrivere nel 1955 (quando era capo dello Stato) che l’art. 81 “costituisce il baluardo rigoroso ed efficace voluto dal legislatore costituente” per “il pareggio sostanziale fra entrate e spese”?
E’ quanto mai necessario l’uso oculato delle risorse. Nei momenti critici l’ente più vicino al cittadino svolge una funzione importante, perché assiste il cittadino. Assistenza nel senso di snellire, semplificare, verso una vita di comunità. Il Comune ha questo compito: far sentire, comunque, una comunità, che esprime il senso di appartenenza per chi ha scelto di vivere in una particolare porzione del territorio e non in un altro.
Esaminando una recentissima sentenza del Tar Campania – Napoli, sez. II, 7 gennaio 2013, n. 176 i giudici evidenziano “che il principio della copertura finanziaria degli atti legislativi ed amministrativi che comportano una spesa pubblica è un principio generale ed inderogabile dell’ordinamento, derivante dalle norme di contabilità pubblica e dall’art. 81, quarto comma, della Costituzione.
Tale principio è costantemente affermato dalla Corte Costituzionale, in relazione alle norme (dichiarate costituzionalmente illegittime) che prevedevano l’assunzione di interventi comportanti una spesa senza la necessaria copertura finanziaria”.
Nella sentenza che si legge il Tar sostiene che il principio della inderogabilità della copertura finanziaria è ribadito ed applicato sia dal giudice amministrativo che da quello contabile negli ambiti e nei settori di rispettiva competenza giurisdizionale.
Ad esempio in tema di procedure di gara per l’affidamento di appalti di lavori pubblici, si è affermato che “il corretto svolgimento dell’azione amministrativa, ed un principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81 Cost., esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto se provvisti di adeguata copertura finanziaria e ciò al fine di porre al riparo l’interesse pubblico dalla stipula di un contratto che la p.a. non potrebbe fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 14 maggio 2012, n. 978; in senso analogo, in materia di revoca di atti di gara per l’affidamento di un appalto pubblico, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 29 febbraio 2012, n. 479).
Tutto ciò è collegato all’erogazione dei servizi, alla qualità degli stessi in tempi in cui le risorse sono ridotte, anche in relazione agli altri fondamentali principi costituzionali da tenere sempre ben presenti ed in particolare quel buon andamento e quella imparzialità spesso sabotati e offuscati da azioni disdicevoli. Soprattutto nella nuova epoca della spending review è possibile crescere e qualificare un territorio, se non vi sono sprechi e sistemi connotati da atti e comportamenti dannosi per la comunità e vantaggiosi per altri, preoccupati di raggiungere il loro particolare. Anche Obama nel discorso di inaugurazione del suo secondo mandato ha subito affermato le sue priorità: “taglieremo le spese, rimetteremo a posto il disavanzo ma non potremo dimenticare i più deboli”.
Per evitare l’eclissi del Comune è però necessario un rinvigorimento di questa istituzione. La debolezza del Comune genera mostri. Apre squarci nel tessuto sociale. Un Comune che non funziona danneggia un territorio, alimenta tensioni e insicurezze. Possono ben valere e adattarsi anche in questo contesto le meditate parole di Vittorio Emanuele Orlando riferite all’apparato statale: “in nessuna epoca, come nella presente, lo Stato ha avuto nei suoi cittadini altrettanti creditori e così molesti, cosi arroganti e inesorabili“.
In questo quadro, è possibile mutare il nostro futuro attingendo alle “buone pratiche” del passato. Si pensi al modello dei regimi popolari nell’Italia dei Comuni che realizzarono riforme istituzionali importanti nell’ambito della vita pubblica. Ciò configurava, attraverso un sentimento civico, un reale concetto di cittadinanza, lo stesso con cui i governi popolari si distinsero nell’azione urbanistica e ambientale con una reale preoccupazione per il bonum statum, il bene collettivo, un obiettivo che doveva essere raggiunto attraverso le istituzioni e la legalità. L’attuale crisi può diventare l’occasione per tagliare i rami secchi. Ma occorre distinguere i Comuni virtuosi da quelli viziati e liberare risorse da investire nelle cose che servono davvero proprio in relazione al corretto svolgimento dell’azione amministrativa, ed al principio generale di contabilità pubblica risalente all’art. 81, secondo la lungimirante visione di Einaudi, che fu pensato dai Costituenti per “affermare l’obbligo di aumentare le entrate e diminuire le spese sì da giungere al pareggio”.
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