di Angelica Stramazzi

Nella vita di prevedibile c’è poco o nulla: ogni giorno ci troviamo a dover fronteggiare degli eventi (inattesi) di cui non siamo in grado di conoscere l’esito. Tutto è affidato al caso; e “programmare” e “pianificare” sono due verbi che, generalmente, vengono esclusi dal vocabolario di chi preferisce vivere alla giornata. Tuttavia, la nostra società ci ha insegnato, tra le molte cose, che senza un’attenta ed oculata gestione del contingente, del reale e di ciò che è necessario ed indispensabile, non si va da nessuna parte, quindi tanto vale mettersi di buzzo buono e pensare a cosa fare domani ché l’oggi sta già per terminare.

Se dunque nell’esistenza di ciascuno di noi un pizzico di casualità non fa mai male, non fosse altro per sperimentare nuovi percorsi, conoscere prospettive diverse ed aprirsi all’altro, non troppo lontano dovrebbero andare coloro che, in un certo lasso di tempo, si adoperano, in vista di una tornata elettorale, in previsioni, sondaggi, proiezioni ed ipotesi di coalizioni che sono destinate a restare casi da manuale scolastico. Anche stavolta infatti abbiamo toccato con mano la reale inconsistenza dell’operato di sondaggisti e centri di ricerca, sebbene l’attività di costoro vada riconosciuta e non già disdegnata. Ma davvero crediamo che, nell’anno di grazia 2013, sia possibile ragionare su scenari e contesti futuri sulla base di opinioni espresse con una certa disinvoltura da un insieme di elettori che poi, nel segreto dell’urna, saranno indotti a votare in tutt’altro modo? Sinceramente riteniamo che un elettore medio, tendenzialmente disposto ad informarsi circa la situazione politica del paese in cui vive, sia disposto a lasciarsi influenzare da chi, per mestiere, ha il dovere di raccogliere un certo quantitativo di dati e quesiti?

E’ risaputo che gli italiani siano un popolo di brava gente: generalmente cordiali e propensi al dialogo, raramente mostrano freddezza e distacco nei rapporti umani, tutte qualità che hanno contribuito a renderli noti al resto del mondo, oltre alle bellezze e ai tesori che le nostre terre custodiscono. Ma quando in ballo c’è il destino del Paese, la ridefinizione di un futuro quanto mai incerto e buio, in pochi sono disposti a lasciarsi influenzare e a condizionare da tendenze destinate a svanire nel giro di pochi mesi. Eccezion fatta per la performance del M5S di Beppe Grillo – in tal caso, per sondare il terreno non occorrevano sondaggisti o istituti di ricerca ché il malumore della gente era (ed è ancora) lampante -, di fatto primo partito alla Camera dei Deputati, le restanti forze politiche in campo hanno dimostrato di non essere in grado di saper intercettare il malessere e il malcontento dell’opinione pubblica. Il Partito Democratico, vero sconfitto di questa tornata elettorale, unitamente alle altre liste collocate all’estrema sinistra dello schieramento politico, dovrà pagare il fatto di aver incentrato la propria campagna elettorale sui temi della fiscalità e della tassazione, riuscendo così a portare a casa una vittoria di Pirro. E se neppure stavolta, con il vento in poppa ed un Pdl ridotto (prima della ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi) ai minimi termini, il centrosinistra ha potuto trasformarsi in forza di governo chiara e ben definita, occorrerà domandarsi le ragioni di una performance mediocre e poco entusiasmante. Per contro, il Popolo della Libertà, seppur agitando la chimera della restituzione in contanti dell’Imu e la conseguente abolizione di una tassa così detestata ed invisa ai più, ha saputo rivitalizzare il suo elettorato. Che, ancora una volta, ha apprezzato il ritorno alla necessità di abbassare la pressione fiscale, di modernizzare l’apparato statale e burocratico e di semplificare la macchina istituzionale, ancora ferma sulle modalità di funzionamento pensate nel lontano 1948.

Detto questo – e fermo restando che la situazione di stallo ed ingovernabilità prodotta dall’esito elettorale e da una legge elettorale che andrebbe riformata al più presto, preoccupa tutti e non solo i mercati finanziari -, non si riesce a comprendere l’eccessiva attenzione (e fiducia) riposta nei sondaggi e in coloro che, per mestiere, sono chiamati a produrli e ad elaborarli. Come ha giustamente affermato il direttore del Tg di La7 Enrico Mentana (prendendo in prestito una metafora calcistica) nella lunga maratona elettorale dello scorso 25 febbraio, «non è che se l’Inter perde, poi uno tifa Milan». Questo per dire che gli italiani, seppur siano effettivamente disgustati da una classe politica distante e lontana dalla realtà, difficilmente sono disposti a cambiare bandiera da un giorno all’altro, abbandonando la casa dove sono nati e cresciuti per rifugiarsi chissà dove. Ecco perché, ad eccezione del M5S, vera novità del panorama politico italiano e forza destinata a far pesare i suoi consensi nel momento in cui l’iter parlamentare prenderà avvio, il restante corpo elettorale non si è detto disposto a tradire quei brandelli di ideali, principi e convinzioni che (forse) ancora sorreggono questa o quella fede politica. L’unica previsione che non è stata fatta, e che invece avrebbe contribuito a risparmiarci non poche sorprese, era proprio quella relativa all’esistenza di una fetta consistente di elettori italiani inclini a conferire nuovamente fiducia alle case politiche di appartenenza (e di provenienza). Verrebbe quindi da dire che non tutto è perduto; e che, tra i diversi scenari che si stanno ipotizzando in queste ore, la volontà di ridare slancio e fisionomia ai partiti tradizionali appare piuttosto chiara. Dopo – ovviamente – l’affermazione incontrastata del M5S, di Beppe Grillo e dei suoi uomini (e donne).

 

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