di Chiara Moroni
Queste elezioni politiche hanno di nuovo raffigurato un paese spaccato a metà, ma non, come si potrebbe credere, tra elettori di destra ed elettori di sinistra, berlusconiani e antiberlusconiani, bensì tra chi resta ancorato ad un vecchio sistema e non ne vede o non ne vuole vedere lo sfascio e i danni, e chi quel sistema lo vuole condannare e vorrebbe cambiarlo.
Nel primo caso abbiamo gli elettori del Pd e del Pdl che dimostrano di esprimere più che un voto di appartenenza, un voto d’abitudine ancorato a forme semplificatorie di pregiudizio politico.
Nel secondo caso l’alta percentuale di astenuti (circa 24,8%) sommata agli elettori del Movimento 5 stelle (23,7% alla Camera) costituiscono quella parte di società che, da un lato, semplicemente ma categoricamente non vuole più avallare il sistema politico in atto, mentre votare vuol dire legittimare un sistema nel quale, al contrario non si crede più; dall’altro, è in parte riuscita ad organizzarsi per tentare di dare una spallata ai partiti tradizionali e al loro modo ipocrita e fallimentare di fare politica.
Se è vero che sia l’astensione sia quella forma di apolitica che esprime Grillo non rappresentano la soluzione ai gravi problemi che affliggono il Paese, è altrettanto vero che costituiscono un messaggio davvero inconfondibile sulla necessità di cambiamento che la politica dovrebbe, finalmente, capire ed accogliere, trasformando il sistema politico, le logiche che lo alimentano e le prassi che lo determinano, in senso moderno e legittimo.
In entrambi i casi pochi tra gli elettori hanno voluto o saputo valutare i programmi delle singole forze in competizione e, in questo senso, i mezzi di comunicazione tradizionali non hanno aiutato perché impegnati in una campagna elettorale asfittica e priva di temi concreti.
Si potrebbe parlare, infatti, di una metacomunicazione: abbiamo assistito ad una campagna elettorale che ha parlato solo di sé stessa, nella quale sono state valutate le performance televisive a prescindere dai contenuti politici espressi, e si è giudicato l’impatto comunicativo dei grandi annunci. Gli effetti elettorali e politici costituiscono solo un effetto indiretto delle esperienze comunicative e questo è vero non solo per quei politici e quelle forze politiche che hanno utilizzato la televisione e i giornali in modo diretto ed esplicito, ma vale anche per il Movimento 5 stelle per il quale l’assenza forzosa autoimposta ha rappresentato di per sé l’atto comunicativo più significativo e ridondante di tutta la campagna.
L’analisi della situazione attuale non può che essere negativa su due fronti complementari: da un lato la politica non è stata capace di proporre con i fatti un cambiamento reale, né di far credere ad una assunzione di responsabilità fattiva e non solo di facciata; dall’altro, esiste una percentuale ancora troppo alta di cittadini che non vuole o non sa scegliere la svolta, l’innovazione di individui e di idee. Lo hanno dimostrato sia le primarie del centrosinistra, sia queste elezioni politiche.
L’Italia si trova ora in una situazione di ingovernabilità per due ordini di ragioni. Il primo riguarda il fallimento della politica che ha presentato gli stessi uomini di sempre, coloro che non sono riusciti in quindici-venti anni di politica – come maggioranza e come opposizione – a cambiare il sistema, a ridurre lo strapotere della burocrazia e il disonore della corruzione e degli sprechi. Il secondo è riferibile al comportamento elettorale degli Italiani che, al di là delle analisi sociologiche di fenomeni di apatia civile o di movimentismo antipartitico, ha dimostrato che esiste ancora un numero troppo alto di cittadini che è disposto a scegliere tra alternative, di destra come di sinistra, obsolete, chiaramente fallimentari, evidentemente incapaci di dare un futuro a questo paese.
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