di Giuseppe Balistreri

Chissà se a Beppe Grillo o a chi per lui sarà venuto in mente in questi giorni il vecchio detto di Mao: «Grande è il disordine sotto il cielo, dunque la situazione è eccellente». Eccellente naturalmente per chi si propone di destabilizzare il sistema. Appunto per lui stesso, Beppe Grillo, il Mao tze Tung della rivoluzione italiana.

Secondo un altro detto “ogni inizio è difficile”, ovvero “tutto sta nel cominciare” e Beppe Grillo non solo ha cominciato, ma è andato ben oltre le labili speranze iniziali. A questo punto, divenuto ormai il leader del maggior partito italiano, a Beppe Grillo non resta altro che una meta sola: la presa del potere. Certo, per vie democratiche. Ma, absit iniuria verbis, anche Hitler giunse al potere per vie democratiche (e, come è stato ricordato da qualcuno, la nostra situazione sul piano istituzionale assomiglia molto alla “crisi di Weimar”). Pur attuata con il voto, quella di Grillo resta una vera rivoluzione: dovesse pure terminare in un insuccesso, essa tuttavia si impone ormai con la forza dei fatti. Come altro vogliamo chiamarlo il divenire, dal nulla, il primo partito politico italiano e con una piattaforma che si propone di spazzare via l’intero sistema politico italiano come finora l’abbiamo conosciuto, la sua classe politica, le sue forme di aggregazione e di rappresentanza? Altro che rivoluzione civile di Ingroia! Qui non si millanta credito: Grillo non si è autonominato generale, prima di crearsi un esercito. Come in tutte le rivoluzioni con Grillo emerge quella massa della società che finora non aveva voce in capitolo, in primis (ma non solo) quei giovani a cui l’attuale società nega il ricambio generazionale. È un grande sommovimento che porta a galla quelli finora condannati a rimanere nel fondo.

Un primo grande risultato Grillo lo ha già ottenuto con queste elezioni: ha inceppato il sistema. Non sappiamo tuttavia se questo fosse realmente il suo scopo. È probabile che puntasse ad un governo Pd per continuare con le mani libere a fare la sua battaglia contro il vecchio ordine e prepararsi così alla vittoria nelle successive elezioni. Tuttavia, cinque anni sono lunghi da passare, e forse, se è vero come diceva Andreotti che il potere logora chi non ce l’ha, prima di allora la spinta propulsiva di Grillo si sarebbe esaurita, magari comunque portando qualcosa a casa. Credo che fin qui le ambizioni di Grillo non andassero oltre questo obiettivo. La mancata affermazione del Pd e la situazione di stallo venutasi a creare (Grillo ringrazi la grande rimonta berlusconiana) cambia invece tutto, apre chances dapprima inimmaginabili. Qui e ora Grillo può trarre vantaggio dalla paralisi del sistema, per raggiungere l’insperato: diventare guida politica del paese.

Quello che dal punto di vista interno del sistema appare come una grave impasse che mette drammaticamente a rischio la tenuta dell’intero paese, dal punto di vista di Grillo corrisponde perfettamente ai suoi nuovi propositi, costituisce un passo necessario nella realizzazione dei suoi più ambiziosi obiettivi, che (non si illudano gli avversari), a questo punto, sono quelli che qualsiasi forza politica persegue, vale a dire la conquista del potere per sé soli, possibilmente cioè non condivisa con altri. Grillo non poteva scavalcare la fase attuale, non si giunge dal nulla al governo del paese. Era necessario prima passare per una fase di stallo, ed è quello che sta avvenendo. Ma la mossa successiva, statene certi, sarà Palazzo Chigi. Chiedere pertanto ora a Grillo di mostrarsi responsabile e cioè di togliere le castagne dal fuoco al Pd è un’insensatezza ed equivarrebbe per Grillo al suicidio politico. Sarebbe come dire: “Scusate, finora abbiamo scherzato, ritiro tutto”. È vero che in Italia siamo abituati a buffonate del genere, ma Grillo è un comico serio (non è certo un clown come spregiativamente e impropriamente è stato chiamato), che sa fare il suo mestiere con coerenza. A meno che lui stesso non si tirerà indietro, spaventato dal peso enorme dell’impresa che lui stesso ha suscitato. Non è detto che sia all’altezza del suo successo. Grillo in fondo non è un politico e di rivoluzionari non-politici finiti male la storia (quella italiana in particolare) ne conosce tanti. Ripeto: Grillo ad un certo punto potrebbe non sentirsi all’altezza, e potrebbe invece sentirsi preso in un gioco molto più grande di lui (è successo con il papa, non si vede perché non potrebbe succedere con lui che papa non è). Già ora la logica della sua impresa gli impone di giocare allo sfascio. O pensava di distruggere il sistema senza che il paese dovesse pagare i costi immensi della sua rivoluzione? Già in queste ore dunque e fino al nuovo parlamento lo si vedrà oscillare (come confermano le prime dichiarazioni più possibiliste) tra il desiderio di incassare in moneta spicciola, per così dire, il risultato, accontentandosi di qualche riforma (ed evitando con ciò di trascinare il paese nel baratro) e quello invece di dichiarare il suo pereat mundus, mantenendo inalterati i suoi obiettivi di rivolgimento radicale. È inutile citare il caso siciliano, perché esso non ha nulla a che vedere con la situazione nazionale: lì appoggiando la giunta dall’esterno su singoli provvedimenti, senza la necessità di dover concedere la fiducia, i grillini praticano un onesto compromesso che non pregiudica la purezza del loro radicalismo. Possono perciò guardare fiduciosi ai risultati delle prossime elezioni regionali, quando faranno fuori Crocetta e prenderanno il governo dell’isola.

Ma se la stessa cosa si ripetesse a livello nazionale, sostenendo un governo Bersani anche solo dall’esterno, allora Grillo potrebbe tranquillamente chiudere bottega. Verrebbe a perdere cioè quella volata che ora come ora lo sta spingendo in alto verso la presa del potere. Sarebbe come vendersi la primogenitura per un misero piatto di lenticchie. Dovremo dunque mettere in conto una fase più o meno breve di estrema instabilità, alla fine della quale avremo nuove elezioni. Il cui esito dipenderà da vari fattori. Non c’è dubbio che questa volta sarebbe Grillo il favorito. Tuttavia, rebus sic stantibus, potrebbe anche andargli male e dunque riproporsi in forme ampliate, e questa volta forse irresolubili, l’ingovernabilità attuale. A quel punto Grillo avrebbe portato il paese allo sfascio senza averci guadagnato nulla. Adesso che vi è dentro, Grillo sperimenta la dura realtà delle decisioni politiche. Dalle piazze virtuali e reali ha potuto trattare la politica come un Lustspiel, adesso, dall’interno delle istituzioni, si accorgerà che si tratta di un Trauerspiel. Rovesciare un sistema politico non è un atto indolore. Ovvero, per dirla sempre con Mao: “La rivoluzione non è un pranzo di gala”.

 

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