di Danilo Breschi

Intendiamoci subito: la delegittimazione e tutte le altre azioni elencate nel titolo sono state anzitutto azioni innescate dall’alto (auto-delegittimazione, auto-volgarizzazione, ecc. ecc.) Ovvero responsabilità delle classi dirigenti, da quella politica a quella giornalistica, da quella confindustriale a quella sindacale, da quella universitaria a quella scolastica, ecc. ecc. Insomma, sono oltre quarant’anni che in Italia si effettua un pervicace, entusiasta, collettivo gioco al ribasso. Un’autolesionistica rincorsa alla selezione rovesciata: non il merito, la capacità, l’intelligenza, l’onestà e la coerenza, ma piuttosto l’esatto contrario. Questo è accaduto in tutti i settori della vita pubblica, istituzioni comprese. E ci meravigliamo poi se, ascoltando i parlamentari eletti col Movimento 5 Stelle, queste sono le parole con cui si sono presentati nei giorni scorsi: “Ciao, in quanto sommelier, mi occuperò di agricoltura”; “Sono artigiana, la mia attenzione andrà al ripensare al made in Italy”; “Parlo tre lingue, studio la quarta e mi candido automaticamente alla commissione esteri”.

Non c’è da meravigliarsi, purtroppo. E si dimostra così, in modo ora tangibile, come il dato anagrafico non sia sufficiente. Necessario, forse, per garantire quanto meno ricambio di persone e impedire l’incancrenirsi del pensiero e dell’opera di individui da troppo tempo interni alle istituzioni e ai posti di comando, ma soprattutto drogati dalle prebende e dai lauti benefici che questa costante, ininterrotta frequentazione concede. Abbiamo così il più giovane Parlamento nella storia dell’Italia repubblicana. Evviva! E ora? La competenza è un optional in quest’Italia devastata da clientelismi e favoritismi che segnano un passo sempre più indietro, ogni volta uno in più, fino all’azzeramento, o quasi, di capacità e competenze. E l’effetto demoralizzante della mancanza quasi cronica di meritocrazia dove la mettiamo? O ti adegui, e lasci perdere gli studi seri e la ferrea autodisciplina a fini di miglioramento personale, oppure ti arrendi alla marginalità professionale.

Le culture politiche del cattolicesimo democratico-sociale e del comunismo “all’italiana” si sono nel corso della Prima Repubblica lentamente amalgamate grazie all’individuazione di un comun denominatore e hanno anteposto, sovente, il timore della disuguaglianza e dell’ingiustizia alla promozione del merito e delle differenze qualitative. Si è diffusa e radicata l’idea secondo la quale gli standard di merito sono costruiti socialmente per mantenere il potere dei gruppi dominanti e perpetuare le gerarchie esistenti. Ciò ha favorito la prosecuzione e il consolidamento di antiche pratiche antimeritocratiche, spacciate per eque e solidali. Premiare il merito e il talento: quel che ancora si cerca e approva nello sport (doping permettendo), non si cerca e approva nella scuola e nella politica.

Esiste nel nostro Paese una prassi fattasi sistema, condotta in modo ora raffinatissimo, ora spudoratissimo, di trasmissione ereditaria delle cariche. Eredità, nepotismo e corruzione sono i meccanismi di selezione più frequentemente adottati all’interno di troppe realtà amministrative e produttive. Sono meccanismi incistati da troppo tempo nel Paese, sin da prima dell’unificazione politica della penisola, e sono dovuti a cause storiche ben precise e facilmente intuibili. Probabilmente, dai tempi del fascismo in poi, ha giocato a favore di quei tre meccanismi anche l’eccessiva statalizzazione di amministrazione ed economia. La possibilità di usare tanto, troppo, denaro pubblico, cioè di tutti, e perciò reputato, a torto, di nessuno, ha portato alle ormai ben note voragini di spreco e di deresponsabilizzazione nelle nomine e nelle carriere presso enti statali e parastatali.

Può non esservi affatto incompatibilità tra efficienza produttiva e giustizia. Basterebbe volerlo, con forme di Welfare all’altezza dei tempi, che incentivino e promuovano l’impegno individuale (e anche associato) senza lasciare indietro, né tanto meno discriminare, alcuno. Ma ben poco si è fatto, sinora, in tale direzione.

A chi gli obbietta la scarsa preparazione dei suoi eletti, Grillo ha buon gioco nel replicare che chiunque può aspirare a fare il parlamentare dopo lo spettacolo degradante offerto dai vari deputati e senatori delle ultime legislature. Ha buon gioco, ma non vuol dire che abbia ragione. O ce l’ha solo in parte. Perché, anzitutto, resta da provare in cassazione l’effettiva e piena colpevolezza di chi ha ricevuto avvisi di garanzia ed è stato sottoposto a preventive gogne mediatiche. Ed anche qui stiamo scontando un’esondazione del potere giudiziario che sfregia il costituzionalismo liberale di Montesquieu e dei Padri Fondatori statunitensi. In ogni caso, il discredito del parlamento è servito, e con esso, di ogni altra istituzione nazionale. Ché anche l’antiberlusconismo cieco e furioso ha prodotto questo. Dalla persona è facile passare alla carica ricoperta, specie all’estero. Si finisce per non distinguere più tra le istituzioni e i politici che le impersonano e le governano. Se questi ultimi sono così riprovevoli, eppur votati a larga maggioranza, vuol dire che le prime non funzionano più bene, e vanno abbandonate. Ragionamento pericoloso che si insinua suadente.

Inoltre, scontiamo oggi gli effetti della mancanza di analisi, come si sarebbe detto un tempo, quello stesso tempo in cui si cominciò ad abbassare i livelli di guardia su ciò che si doveva sapere e su ciò che si poteva o non poteva fare. Non è vero che sono tutti uguali, nemmeno i politici. Ma si fa di tutta un’erba un fascio! Sono cresciuto in un decennio in cui si finì, in quinta elementare, tutti promossi con 10! E già in prima eravamo tutti da 10! Che generazione di fenomeni! E niente distinzioni nel voto, per carità!, altrimenti si faceva della discriminazione, se non razziale, classista. Come meravigliarsi, dunque, se siamo finiti in quest’ultimo ventennio di dilagante – ed elettoralmente premiata – demagogia e populismo?

Grillo e il grillismo sono solo l’estrema conseguenza, del tutto logica e lineare, di un livellamento verso il basso di ogni valore di merito e del disconoscimento dell’importanza del sapere, e di quanta fatica, sforzo e sacrificio, ma anche talento naturale, esso richieda. I media, di ogni genere e di ogni colore, compresi i tanto osannati (anzitutto dai grillini, guarda caso) new media e social network, hanno contribuito in modo determinante, e devastante, ad evidenziare in modo spasmodico comportamenti da biasimare senza sottolineare, con altrettanta se non maggior forza, comportamenti da lodare e portare ad esempio. Sì, lo si fa, ogni tanto, ma con poca convinzione e senza sistematicità. Perché? Anzitutto, perché il bene e il buono non vendono, sin dai tempi dei feuilleton ottocenteschi che, a puntate, narravano miserie e depravazioni, sangue e sesso, per solleticare masse appena appena alfabetizzate, e che avevano alzato il proprio cervello di poco sopra la cintura.

Non so se ci sia una effettiva ed efficace via di uscita dall’imbarazzante, e potenzialmente pericolosa, impasse nella quale siamo caduti. Berlusconi prende spesso la maggioranza dei voti alle elezioni ma è delegittimato in partenza, ora a ragione ora a torto, da tutti coloro che fanno opinione e che piacciono alla “gente che conta”. Al di là dei suoi evidenti, grossi limiti di premiership (per contenuti e stile), governare per più di qualche mese gli è reso impossibile, domani più di ieri. Sarebbe l’ennesimo tam-tam mediatico-giudiziario assordante. La sinistra ex-Pci, ora a guida Bersani, domani chissà!, non è mai riuscita a convincere la maggioranza del Paese della propria affidabilità quale forza di governo, e semmai ha bisogno di alleanze che finiscono poi sempre per indebolirla, snaturarla, comunque condannarla ad esperienze di governo a dir poco tribolate e oscillanti nei propositi come nei risultati. E Renzi dentro il Pd rischia di far ben poco, a meno non lo trasmuti con magica alchimia. Questa situazione della sinistra italiana è una delle tante conseguenze della scomparsa di un partito socialista e della storica minorità di una tradizione politica e culturale riformista e socialdemocratica (che il Pci-Pds-Ds-Pd ha solo praticato in alcune regioni, ma mai legittimato culturalmente, finendo poi con l’inquinarsi per troppo a lungo incontrastato esercizio del potere).

Adesso, a completare il quadro di una situazione di stallo che potrebbe preannunciare la paralisi del sistema parlamentare, c’è pure il movimentismo a 5 stelle, il figlio dell’antiparlamentarismo e del pressappochismo propalati negli ultimi quattro, cinque decenni. Il primo ha radici ancora più antiche, a dire il vero, e vi è una tradizione persino nobile in Italia, se ci limitiamo a parlare in termini di contributi intellettuali alla storia del pensiero politico occidentale. Il secondo data almeno dalla decomposizione del sistema scolastico e universitario, che non ha saputo gestire l’inevitabile, e per alcuni aspetti auspicabile, massificazione dell’istruzione pubblica. Senza educazione, intesa sia come interiorizzazione di regole di rispetto (di sé e degli altri) sia come promozione e riconoscimento (premiante) dell’impegno (a migliorarsi) e dell’intelligenza (non distribuita equamente in natura), non si ha democrazia. Si ha solo demagogia. Cittadini si nasce, sì, ma solo in parte, cittadini si diventa, anche e soprattutto. Studiate gente, studiate, e premiate chi lo fa, e chi lo insegna al meglio e per il meglio.

 

Commenti (3)

  • Simone Quattrini
    Simone Quattrini
    Rispondi

    Non piace dare ragione ad un autore per tutto quello che scrive, sembra quasi un’adesione acritica al pensiero dello stesso in assenza di una propria visione.
    In questo caso però, non ho alcun timore nel riconoscermi totalmente nell’acuta analisi dell’autore.
    Un articolo così dovrebbe essere pubblicato come editoriale del Corriere della Sera ed incorniciato come lettura illuminante dei nostri tempi e del perchè siamo arrivati a questa situazione socio-politica-economica.
    Una preziosa chiave di lettura non deformata da schemi e paramenti ideologici.
    Grazie.
    Simone Quattrini

  • Max Joseph
    Max Joseph
    Rispondi

    La delegittimazione nasce purtroppo da una legittimazione basata non su valori o competenze ma acquisita secondo canoni e regole che ci hanno portato in questa situazione. In realta’ non cambia niente, e’ tutto figlio della decadenza dilagante e del pressapochismo che va dicendo. Il concetto e’: se certa gente e’ arrivata in certe posizioni perche’ non posso farlo pure io?
    In altri paese si tenderebbe invece non a livellare le regole per arrivare ad una certa posizione, ma al contrario a punire chi e’ arrivato senza essere conforme a quelle regole, principi o norme.
    In Italia la delegittimazione e’ la scusa invece per radere tutto al suolo, cosi’ che la mandria incompentente possa dilagare. Non cambia nulla, solo che adesso per lo meno e’ risaputo e non tenuto nascosto; anzi, e’ quasi esposto volontariamente.
    La verita’ e’ che in Italia mancano cittadini, ossia persone che sono state in primo luogo educate dalle istituzioni scolastiche a comprendere quelli che sono i doveri ed i diritti di ogni cittadino. Senza una buona educazione civica che persone pensiamo di ritrovare nel nostro paese? Ed allora la volgarizzazione e’ standard.
    Invece di elevare gli standard o fare in modo che chi vuole aspirare a certe cariche debba raggiungere gli standard richiesti, usiamo la delegittimazione dell’attuale classe politica ed il livello della stessa come grimardello da usare per ricoprire quelle cariche.
    Siamo e saremo governati dai soliti incompetenti, ma almeno adesso nessuno fa finta di non esserlo!
    Un gran passo avanti!
    Buon divertimento nel paese dei balocchi!

  • Max Joseph
    Max Joseph
    Rispondi

    Poi pero’ non ci lamentiamo troppo delle pernacchie che ci fanno dall’estero!

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